venerdì 26 agosto 2016

IL VIAGGIO DEL POETA .

IL VIAGGIO DEL POETA .

Romanzo di Giovanni Maffeo  Poetanarratore .


Introduzione .
In questa mia narrativa dei miei pensieri ,dell’umana gente. La poesia trionfa nella travagliata e meravigliosa  vita. Con molti anni alle mie spalle apro i miei occhi al mondo, nell’anima mia, al mio fiorito luogo natale . tra colli e mare incomincio a meditare ,un fraseggio del mio immaginario di poeta narratore. Racconto a voi a tutte le genti :dialoghi ,storie di me; della mia gente, del mio stato d’animo, del mio pensiero ,passando ad allargare lo spazio della natura ,come della storia ,cercando con ansia cosmica le vie del cielo risalendo con spirito d’umana virtù .non solo ai primi abitatori della terra che le leggende e le favole ricordano. Oggi che viviamo nel ventesimo secolo dove tutto è superato ,rimane il pensiero della gente, “la poesia” la narrativa .È volontà del pensiero collocarsi dunque nel tempo ,muoversi tra le branchie della vita ,per mezzo della poesia nasce ,l’esperienza suprema e si  attraggono i mirabili alterchi ,la fissità della natura ,dove il tempo confonde gli squilibri ,produce il ricordo come sostegno dell’io ,rievoca la contemporaneità del presente .

In esso nasce e vive la poesia ,la narrazione ,l’essere delle cose a cui crediamo ove a volte ci allontaniamo dalla realtà e si resta nella fantasia , ma a mio dire è un suppuro per chi soffre  ,la poesia aiuta ,butta fuori un livore ,il mal d’amore ed è come sentirla nuda ,tra gli echi del vivere o su alti colli ove il silenzio assorda e pensando ai suoi versi si può rigenerare e annullare il timpano dei tamburi silenziosi ,ed ecco che la poesia  figlia della parola si compone  nel pensiero prima d’essere scritta ,si vive ,si ispira a desideri che nascono appunto dai pensieri pensati poi scritti e elaborati, come pure la narrativa ,se non c’è un nesso  ,una trama da raccontare non si può narrare.

L’incontro con la poesia ebbe inizio nel lontano 1990 tra le espirazioni dovute ai miei avi ,nel intenso fluire di un quotidiano ,fatto di lavoro e studio genealogico . Si possono analizzare le forme con cui  mi dilettai nelle varie scritture poetiche ,poi anche narrativa . Eternarne  da ciò che ci circonda ,da ispirazioni amorose e fatti sociali  e altro .si pone dunque la tecnologia  come prima fase di conoscenza a rimedio di molte evenienze e comunicativa , ma la poesia rimane chiusa e assistiamo all’affievolirsi dell’immaginazione poetica ove sempre più i sentimenti fuggono dalla  sensibilità ,all’emozione .,a causa della sostanza ,della significanza pura ,del punto di riferimento artistico ,poetico ,umano . Codice insostituibile dello stesso esistere  che è la parola .Essa dunque racchiude significati ,esprime energia  evocativa ,di immagini , sensazioni emozioni , elementi essenziali per la composizione poetica .Provoca risonanze ,echi che infatuano  , coscienti e incoscienti collegando l’invisibile al visibile ,alla fantasia dell’ineffabile l’udibile silenzioso   .

Parola che và oltre il testo scritto ,quindi sentita ,amata ,come nell’ eucarestia la rinascita della fede ,dell’amore .Ho l’impressione che siamo in una epoca ove  la pochezza è alchimia ,è dolo alla sacra scrittura e non solo ,al valore umano ove la poesia resta prigioniera .Dunque la parola è poesia ,la significanza vera ,il filo conduttore che pugna fedeltà a chi ci crede e la scrive ,la forte fedeltà che emana passione ove il concetto lotta silenzioso e tenace per dare al lettore la migliore enfasi ed emozione .Da questo mio concetto introduttivo rivolto alla poesia , alla parola  scrivo e narro il viaggio del poeta ,Un romanzo di pochi capitoli ,ma efficace a dare e a dire il senso per chi per esso  si prodiga e racconta la sua storia .
Buona poesia    buona lettura .

FUORI C'E‭' ‬LA NEBBIA‭ ‬.

‭(‬Succede in questo tempo anni del signore‭ ‬2019.‭)
Fuori c'è la nebbia‭ ‬,non vedo i miei passi‭
mi sono perso‭ ‬,‭ ‬datemi aiuto‭ ‬...
ho smarrito il mio credo la parola tra gli umani,
l'amore è il fatto compiuto delirato dalla debolezza.

Fuori c'è l'indifferenza il vomito dei dannati‭
il degrado fazioso causato dalla politica‭ ‬,
il fantasma della vita che ci rincorre fino alla morte‭
non trova pari nel deserto del perdono‭ ‬.

Fuori c'è la noia d'incoscienza è la vigliaccheria‭
su platee di fantasia si crede di volare‭ ‬,
si muore su strade parallele ove la vita non ha valore‭
piangono i padri‭ ‬,le madri ai loro tempi a un valore han creduto.

C'è la paura la perdizione la tentazione d'essere i migliori
l'opportunismo è dietro l'angolo fa poveri i veri sognatori‭
essi son poeti dal mondo rifiutati‭ ‬,
sono i gloriosi che narrano la vita‭ ‬,la creazione.

Fuori c'è la finzione‭ ‬,il falso buonismo‭
la guerra tra gli stessi consanguinei‭ ‬,
il snobismo la presunzione il vizio volgare‭
l'amore è un sogno di tanti innamorati‭ ‬.

C'è il deserto‭ ‬,‭ ‬la corsa all'oro‭
il condannato dopo un'ora viene fuori di galera‭ ‬,
c'è il purgatorio ove l'attesa ha la lunga fila‭
il periglioso atto si consuma nell'osceno‭ ‬.

SI,‭ ‬fuori la strada ha tanti bivi e binari‭
ognuno prende la sua meta destinazione ignota‭ ‬...
c'è la nebbia degli sconosciuti‭
uniti,‭ ‬potrebbero essere felici‭ ‬.

Dio‭ ‬,‭ ‬fa che questa sera torno alla mia casa‭ ‬.

Giovanni Maffeo Poetanarratore‭ ‬.

La poesia (dal greco ποίησις, poiesis, con il significato di "creazione") è una forma d'arte che crea, con la scelta e l'accostamento di parole secondo particolari leggi metriche (che non possono essere ignorate dall'autore), un componimento fatto di frasi dette versi, in cui il significato semantico si lega al suono musicale dei fonemi. La poesia ha quindi in sé alcune qualità della musica e riesce a trasmettere concetti e stati d'animo in maniera più evocativa e potente di quanto faccia la prosa, in cui le parole non sottostanno alla metrica. 

La lingua nella poesia ha una doppia funzione: - Vettore di significati - con contenuti sia informativi sia emotivi; - Vettore di suoni. Per svolgere efficacemente questa duplice funzione, la sintassi e l'ortografia possono subire variazioni rispetto alle norme dell'Italiano neostandard (le cosiddette licenze poetiche) se ciò è funzionale (non solo estetico) ai fini della comunicazione del messaggio.
A questi due aspetti della poesia se ne aggiunge un terzo quando una poesia, anziché essere letta direttamente, è ascoltata: con il proprio linguaggio del corpo e il modo di leggere, il lettore interpreta il testo, aggiungendo la dimensione teatrale della dizione e della recitazione. Nel mondo antico - ed anche in molte culture odierne - poesia e musica sono spesso unite, come accade anche nei Kunstlieder tedeschi, poesie d'autore sotto forma di canzoni accompagnate da musiche appositamente composte. 

Queste strette commistioni fra significato e suono rendono estremamente difficile tradurre una poesia in lingue diverse dall'originale, perché il suono e il ritmo originali vanno irrimediabilmente persi e devono essere sostituiti da un adattamento nella nuova lingua, che in genere è solo un'approssimazione dell'originale.
«Solo la poesia ispira poesia»

Un poema epico è un componimento letterario che narra le gesta, storiche o leggendarie, di un eroe o di un popolo, mediante le quali si conservava e tramandava la memoria e l'identità di una civiltà o di una classe politica. 

Il termine "epica" deriva dal greco ἕπος (epos) che significa "parola", e in senso più ampio "racconto", "narrazione".
L'epica narra in versi il mythos (mito), cioè il racconto di un passato glorioso di guerre e di avventure. L'epica è la prima forma di narrativa, ma non solo: costituisce anche una sorta di enciclopedia del sapere religioso, politico ecc. Essa veniva trasmessa oralmente con un accompagnamento musicale da poeti-cantori. 

I poemi epici di tutte le letterature si basano su un patrimonio di miti preesistente; i più antichi poemi epici che si conoscono sono i mesopotamici Atrahasis e l'epopea del re di Uruk, Gilgamesh. I poemi epici più famosi in occidente sono: il ciclo di Re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda, la chanson de Roland, l'Iliade, l'Odissea, l'Eneide, la canzone dei Nibelunghi, l'Orlando furioso .
Nella liturgia cattolica, la sequenza, spesso chiamata anche col suo nome latino sequentia, è un componimento poetico musicale liturgico che veniva recitato o cantato nella celebrazione eucaristica solenne prima della proclamazione del Vangelo. 

Dal punto di vista letterario, la sequenza rappresenta la prima forma di testo rimato, all'origine di tutte le forme poetiche moderne.
La sequenza appartiene al proprio della messa: il suo testo quindi varia a seconda dell'occasione liturgica celebrata. Viene recitata (o cantata) al termine della seconda lettura mentre l'assemblea rimane seduta fino al suo termine e all'Alleluia che acclama al Vangelo ci si alza, chiamata da me anche poesia spirituale . 

La Sconfitta per le nostre colpe‭ ‬.

Non date a me quello che io vorrei‭ !
Quello che desidero per l’altrui scopo‭ ‬,
Quello che fa vibrare le corde all’anima‭ ;
Innalza alta‭ ‬,‭ ‬la bandiera dell’amore‭ ‬.

Sono incongruenze eclettiche che si proporzionano‭ 
L’ambigua interazione ove il misero sovviene‭ ‬,
Filosofeggia la vita d’un vissuto‭ ‬...
Apre nuove mete all’oscuro bacio‭ ‬.

Son io il testardo‭ ‬,‭ ‬l’incauto perdente‭ ?
Il figlio di un tempo impertinente‭ ‬,
L’orma che lascia all’arte la ragione‭ ;
Con cuori teneri li trafigge e li abbandona‭ ?

L’egoismo è ferocia‭ ‬,‭ ‬è inconsapevolezza‭ !
Ha volti inconsolabili e si nega all’evidenza‭ ‬,
Ha la pretesa dell’io penso‭ ;
L'incurante al prossimo migliore‭ ‬.

Ha il male aborrito che non ha confronti‭ 
Nuoce e trascina il poeta nel delirio‭ ‬,
Esso‭ ‬,non ha chi lo renderà felice‭ ;
In lui resta‭ ‬,‭ ‬la furia dei cechi‭ ‬.

Furibondo è questo narcisismo‭ !
Illusione famelica del grande ideale‭ ‬,
Volti incerti che in specchi si frantumano‭ 
Nel paradosso scabro muoiono le rose‭ ‬.

E si trascina a se speranze incerte‭ !
Desideri incolmabili di esaltanti ambizioni‭ ‬,
Fragilità mascherate da onnipotenza‭ ;
Da un vissuto mai esplorato‭ ‬.

Vivi dunque‭ ‬,tu‭ ‬,‭ ‬poeta coraggioso‭ !
Apri le altrui porte al senso‭ ‬,‭ ‬alla comune‭ ‬,
Alla fede che ci nutre e rimane‭ ‬...
Al desiderio di una donna per non morire.

Giovanni Maffeo‭ ‬-‭ ‬Poetanarratore‭ ‬.

FU MOLTO TEMPO FA .

Fu Tempo fa che cominciai a scrivere poesia a risvegliare in me il tempo dei desideri , dei negati sogni ,dei sospiri assopiti per una amata .

Fu molto tempo fa , a raccontare di me , le mie avventure , le gioie , le malinconie
Smisurati i stati d’animo , le mie braccia lontano si protrassero ,
In mio soccorso vennero le nuvole ,ebbi il tempo mio e nessun danno mi fu fetido .

Vennero le grandi scene ,traghettavo la mia culla verso la cultura ,verso la mia poesia
Le muse si tennero distati ed ero solo a raccogliere la musica ,
Solo l’anima mia mi dette sostegno a vincere il mio embrione che mia madre m’ha lascito .

Fu molto tempo fa ,ed ora colgo forme di plausi fermi ,di occhi distanti e sorrisi su bocche
innocenti , con caparbia ,con impegno duro ,la mia lirica crebbe ,bilanciata e florida ,piena .

Fu molto tempo fa ,le mie amanti ,le pie donne ,le nebulose dell’eterno ,le vergini sante ,le
concubine dell’amore .Oh l’amore !Tutti lo inneggiano pochi lo praticano ,l’amore ….
Mi dettero trastullo , fremiti e orgasmi ,spintonandomi caddi nel burrone , nella selva perdevo
il mio senno ,poi , si , poi ebbi tremori sulla mani ,mi soffocarono le labbra Nei pori della pelle .

Fu molto tempo fa che posai fiori nel giardino ,tra le aiuole e viticci di sottobosco ,
Seminai la mia vita ,convinto che un giorno ti avessi incontrata ,mentre afferro superbamente
i miei giorni estremi .Fu molto tempo fa .

Seguo il mio percorso e non mi volto indietro ,seguo i miei giorni ,il susseguirsi della vita ,incontro stragi di malie e supponenti bivi , ove l’egoismo la fa da padrone , è il vizio a trionfare ,è l’ipocrisia a difendersi, ,è la conseguenza che fa scudo all’ignoranza ,piatto ricco per la sola indifferenza .

Giovanni Maffeo Poetanarratore .

Dentro me.

Sei in me ogni momento nei profumi delle rose
in ogni mio respiro in aliti d'avventura,
sei dentro me anima mia sulle corolle dei fiori‭ 
nei vespri dei mattini‭ ‬,‭ ‬nelle molecole della mia aria‭ ‬.

Nel mio infinito cuore ti vieni a sdraiare
non smette di cantare amore‭ ‬,
dentro me‭ ‬,‭ ‬la nostra canzone suona melodia‭ 
le note‭ ‬,‭ ‬son battiti‭ ‬,i tuoi gemiti‭ 
si posano possenti‭ ‬,‭ ‬sulla grossa incudine‭ ‬.‭ 

Dentro me hai sbocciato la rosa‭ 
la timida surfinia la voluttà divina‭ ‬,‭ ‬dell'inno delizioso‭ 
il singhiozzo umido che si posa sul mio petto‭ ‬,
lacrima scintille sui prati della neve‭ ‬.

Sei la poesia da te ispirata amore‭ !
Sei la folgore di un lampo tra le nuvole‭ 
la guancia ove s'arrossa il plumbeo tulipano‭ …
la gota scabrosa ove l'occhio ride.
Sei l’immenso‭ ‬,‭ ‬il mio piacere
la mia carne‭ ‬,‭ ‬che brucia passioni‭ ‬.Si sei‭ !

Vieni‭ ‬,‭ ‬vieni dentro me a traboccare pudori nudi
a iniettarmi l'orgoglio dei dannati‭ ‬,il sangue purpureo‭ ‬,
vieni‭ ‬,dannami l'anima d'amore‭ !
Spandi su di me la densità dei crepuscoli‭ 
il pulviscolo degli angeli su scogli asciutti‭ ‬.

Dentro me‭ ‬,‭ ‬ho un tesoro‭ ‬,cosa è non lo dirò mai‭! 
Il fascinoso amore è nella caligine del tuo sentire‭ 
nel bagliore immenso del tuo‭ ‬,mio mare‭ ‬.
Si‭ ‬,vieni mia amata anche questo desiderio sarà esaudito‭ ‬.

Giovanni Maffeo-‭  ‬Poetanarratore.

Capitolo primo
Che dire , il mio viaggio da poeta ebbe inizio il lontano 1990 , quando ancora la tecnologia fondava le sue prime radici nel campo virtuale ,Nasceva Internet ed era poco diffuso ,non a sufficienza tra la gente ,molta comunicazione veniva e restava tra i media .Fu allora che mi dedicai agli studi genealogici ove per circa un decennio fu la mia prima priorità ,da essa ne trassi poetica ,quello che fu poi la mia poesia .Come la vita insegna e detta le sue e nostre volontà ,intrapresi il mio viaggio artistico ,strada facendo notai disquisizioni amarezze , invidie e esaltazioni , trovai i miseri comportamenti ove prevaleva ,prevale ,la presunzione d’essere ,del sapere ,l’incoscienza dell’io e della forma ambigua con cui  ci si pone ,la banalità del ripetersi e l’avida pretesa .Mi chiesi : siamo tutti perseguitati o esseri senza ragione ? 

Forse inesplicabili  spettri che dagli opposti si attraggono che nel corrente mondo virtuale vogliono mostrarsi in un qualcosa che non si ha ,non si è .
Forse avventurieri  di un qualcosa senza testa e coda e né ragione ,diciamo: gli inconsolabili ,questo credo sia il termine giusto . Di ciò me ne resi conto presto ,quando la mia poesia cominciò a diffondersi ,a spaziare tra blog e siti letterari e social  ,ove molti di questi detterò la possibilità di esprimersi .Ne feci carta dorata e scrissi i miei pensieri ,dai tramonti all'alba   ne cavai poesia ,molte le belle ,tralci di ispirazioni e di motivi :di cui  ebbe presto soddisfazione personale .

Trovai la mia dimensione ,la pace tra gli acidi e i nemici delle stelle ,la scoperta della donna che per anni  fu il mio tabù i languidi baci e le carezze fascinose ,le pochezze misere e l’ebbrezza dei fremiti ,il sadico sesso e il romanticismo ,la prevalenza e l’imbarazzo ,la delusione e l’amarezza .Presi in mano la scatola della coscienza e l’aprii ,di cui ne ignoravo l’esistenza ,la osservai con attenzione ,che cos’è mi chiesi ?Me lo chiesi più volte ,al fine ne trassi il significato :tutto era misero ,ognuno ha il suo sfogo, pensa a se e si ubriaca di sola convinzione ,non ha l’altruismo consapevole ,né il sentimento .Cavalcai dunque l’onda e sperai ,di essere famoso ,per dettare l’altrui mio pensiero ,con l’eccentrico mio fare ,la sensibile attenzione e volevo il meglio mio e d’altri ancora .


Capitolo secondo
Incontrai dunque la madre dell’amore ,era un fantasma che non vedevo ,la cercavo ovunque ma a me era invisibile , capii i concetti principali ,che era bello amare , era bello il suo mistero, era bello scrivergli poesia .ed essa sbocciava tra i fiori ,ovunque lei mi sfiorava ; si ,lei la donna amara ,la tentazione e mi fece uomo ,lei la grande sfida ,un po’ amazzone  e regina ,figlia del peccato veniale ,amante e sposa di un grande atomo . Intanto il mio viaggio di poeta continuava a percorrere spasmi e logiche ,molte per esse furono le liriche le quali ancora oggi vien diffuse e apprezzate . Scrissi altro, scrivo ancora ,scrivo d’amore per la magia ,la favola dei poveri ,dei silenziosi procacciatori .

Nel corso degli anni si susseguirono le altre mie e furono le migliori, in esse molte si ritrovavano ,con trame diverse  ma con lo stesso significato .Si capiva che erano diverse le signore e  non ce ne fu una che non avesse avuto un torto ,tutte lacrimose ,piangevano lacrime di sabbia .Questo in me suscitò rabbia e delusione ,si credevano sante e facevano le innocenti ,Donne maritate ,altre da poco vedove ,si consolavano al sol  dialogo ,altre con la puzza sotto il naso ,temevano di essere rubate ,da cosa non l’ho mai capito . Forse immacolate dal loro stesso egoismo . 

Credo che questo tipo di donna non meritano di essere nemmeno menzionate con i loro sotterfugi sfruttano la platea virtuale per farsi  notare con foto provocanti e tentacoli di serpenti .
Sempre sul tema in oggetto ,più volte mi appaiono delle richieste di amicizia ove da queste  balde giovani o signore sedotte e abbandonate dai carnefici del tempo ,mi chiedono  di approcciarmi con loro , di farle felici ,che sono rimaste sole ,che hanno un figlio  e che questo vuole l’affetto di un padre ,si più volte ! Chiedono l’elemosina dell’amore per farsi mantenere ,disperate come sono non sanno altro cosa fare e si donano al primo che gli capita ,allo sprovveduto di turno che se gli da ascolto  resta in un mare di guai , dai loro sbagli fatti ,dai carnefici che le hanno violentate psicologicamente e materialmente  ,storie che fanno rabbrividire ,accapponare la pelle  che il mondo femminile cerca di nascondere per salvare la vera faccia di alcune .Capisco le disgrazie ,magari non cercate ,non volute ,la  realtà dei fatti parla e nei sotterfugi emerge ,emerge nel mondo virtuale ove si nasconde la miseria ,il volgare ,l’impuro .

So di tirarmi addosso l’ira di alcune donne ,alcune femministe che hanno una sola ragione, e non considerano le cause  causate e perché sono veramente successe ,questo fa male al cuore a sentirle ,a sentire questi continui lamenti ,questi odiosi e squallidi incesti e fregature che si vogliono accreditare a chi non centra  .Non sanno capire il male dal bene perché hanno avuto dietro una famiglia disunita e non le ha sapute guidare ,non conoscono il vero senso poetico .Dopo anni di esperienza mia personale scrissi  molte liriche ,mi sentivo sicuro di me e capivo che ero molto migliorato ,pronto a difendermi in caso di attacco critico avrei sfoderato la spada del sapere ,della vera poesia ,il meglio lo avevo acquisito con sudore e tanta critica a volte anche con commenti offensivi ,fatti da intrusi di poco conto ,saputelli da quattro soldi che si atteggiavano come professorini della materia poetica ,ad oggi   scomparsi  ,se  in vista predicano il loro squallore .
Esseri immondi senza cuore e sensibilità che prendono per gioco il canto dell’amore ,quand’esso è la vita ,è il dare e ricevere ,il dono di DIO , di un forte sentimento  .

Capitolo  terzo
Alcune mie poesie .

I giacigli del cielo
Apro le porte al sole
per cogliere un germoglio di natura,
il paradiso tuo assoluto
che solo tu femmina puoi concedermi.
Le apro a te fiore del creato
quello che fu per me sogno proibito,
il tenero amore delle represse voglie
alla vita che tutto dà e m’ha rubato.
Tra i giacigli del cielo tu l’unica stella
sei vortice ancestrale
la mia tempesta ,vento mi attira
con la tua luce d’ombra mi cattura.
Tra i pianeti ,venere ti somiglia:
brilla di sera al mattino ti abbaglia,
ti scalda l’anima il petto tuo brucia
osar non posso se tu m’accechi.
E sei tra i tesori dell’universo
sei la perla rara ch’è s’alza nell’oblio,
in notti di luna amor riveli:
mentre 'io taccio ,tu , naufraghi nel mio mare.
Tra i giacigli del cielo ho deposto epigrafe di neve
con su scritto ,io ti amo !
Parola inutile che nessuno crede,
Nel limbo rimane , 
all’attenzione di un amore .
Il nostro !

Giovanni Maffeo Poetanarratore .

La favola siamo noi
È  il mondo incantato che vive dentro noi !
Un sogno a colori pieno di fantasia ,
è il desiderio dei grandi
di rimanere sempre bambini .
Siamo noi il cerchio magico
tra l’universo e il sole ,
con le fiabe di Biancaneve,
di cappuccetto rosso e pinocchio.
La favola siamo noi !
Gli esseri arroganti che cantano poesia ,
favellano la strofa dell’amore
per scrivere l’idillio di una storia  .
Siamo i reduci  dei cantastorie
in ognuno di noi c’è Giulietta e Romeo ,
c’è  la fata turchina,
la bella addormentata con l’immagine di cera .
Siamo i vespri siciliani che difendono la storia
l’orgoglio della patria , i guelfi e ghibellini
che vanno a braccetto in battaglia
per un idealismo muoiano .
La favola siamo noi !
Siamo gli eredi degli umani ,
gli intellettuali della borghesia ;
la marcescenza delle aridi condizioni .
Siamo il vanto ,figure senza forma
gli echi,che bisbigliano nel vuoto,
i bizzarri rappresentanti di una razza in estensione ;
col gesto d’amore paralizziamo l’anima .
Siamo quel che siamo !
La natura  in noi vive
cresce acerba per poi maturare ;
come un frutto ha la sua stagione.

Giovanni Maffeo Poetanarratore .

Capitolo  quarto
Ebbi  l’impressionismo della platea e mi portò da subito tra i miei scritti ,in essi  il sacro e il profano ,il dolce e l’amaro ,il fantastico e il reale , quindi una sorte di mescolanza di significati che suscitava ai lettori un analitico enigma  ove la curiosità  faceva ricco il lettore e li incuriosiva a leggere ..Con alcuni era anche il ritrovarsi tra le righe ,un connubio non solo  emozionale ,ma analitico ove il senso stesso ne dava esplicito concetto . A volte penso che cosa mi aspetto da me medesimo e cosa voglio ? O  cosa vogliono gli altri , a tutto ciò non gli do importanza ,credo che ognuno sappia gestire la propria coscienza ,la propria conoscenza .Si , gli altri, o per  invidia  o per gelosia bruciano le loro stesse bravure e non capiscono che la sequela della vita  è unica , è a senso unico .

L’io  dunque non viene preso in considerazione ,l’altrui disfa ,non dà l’individualità ,l’essere se stesso -  l’io crea , l’altrui  disfa -  Penserete che alcune frasi siano frasi fatte ,scontate ,no, non è così è la stessa etimologica esperienza che parla  ed io parlo di un reale che vive e  si perpetua in noi , per guarire da questo male  che è la presunzione ,a mio dire bisogna essere umili , credere nella fede ,perché in essa c’è l’umiltà ,la pace .Si in alcuni passaggi possono sembrare versi di poesia ed anche certo  che per un scrittore poeta  è facile concertare la narrativa .Come  dicevo  il verso viene espletato anche nella narrazione e sembra facile  a chi non lo  pratica ,ma legge soltanto ,non è così ci vogliono anni di scrittura , di sapere armonizzare la romanza ,la lirica ,anni di vera passione e solo allora la certezza arriva ,arriva la convinzione di saper fare .Perciò , non mi interessa aprire nessuna scatola  per capire cosa farò da grande ,ho lottato per la conoscenza e da me stesso e non voglio da altri ,mi da solo  il premio dei vinti .

Capitolo quinto .
E mi ritrovai nel verde della natura e dissi : Chiunque tu sia mi concederai il giorno
Chiudendo le porte al cielo ,Trapasserai , la via dell’infinito Per raggiungere il mio immenso .Si a volte mi vengono dei versi e li scrivo .Spesso alle prime luci dell’alba mi alzo e  mi siedo a scrivere  , osservo  i fiori che sono numerosi nel mio giardino .Quella  mattina la luce tenue si rifletteva su  la mia porta finestra  ,vicino ad essa  la mia scrivania ,da lontano suoni di clacson e abbai di cani ,la notte s’era appena spenta ed io mi sentivo dentro la poesia ,dovevo scrivere qualcosa ,era troppo magica  l’alba ,un sussurro di voce mi detto le prime parole ,erano le voci della mia anima che volevano buttarsi fuori ,urlare  a tanta bellezza ,a quel dono che io avevo avuto ,forse è vero ,a volte riceviamo doni e nemmeno le sappiamo apprezzare ,credo che se li sappiamo cogliere è una magnifica occasione ,è la sublimazione che si fa avanti  ,ed ecco perché , come ho detto più volte io paragono la poesia all’amore ,espressione dell’anima ,comunicazione dei sensi .Le voci dunque mi dettarono le mie melodie e scrissi :

C’è  un posto per amare .

Voglio  dirti che ti penso
ti voglio bene , è il mio saluto ,
il mio ciao ovunque tu ti trovi .
Apro a te le mie ore ,
ore in cui tutto tace
il silenzio della notte mi assorda
ed io scrivo
di te , che mi leggi , mi leggerai
di te, che albeggi i miei chiarori ,
fai belli i giorni miei .
Sei il mio sorriso !
L’ombra nella notte che mi fa compagnia ;
mi bussi al cuore , per entrare .
Avanti, dunque , amore ,
c’è posto ,c’è il sole , c’è  posto ,vieni ,
accendiamo le candele .
È tanta la luce che potrei darti,
forse l’immenso non ha paragoni .
Ma io , potrei viverti sognando,
quel poco , che basta ,per scriverti pensieri .
Vieni , c’è posto per amare,
vieni ,c’è il mare
ci sei tu  , con gli occhi dell’amore -
Ti voglio bene donna , ti amo !
Ti impalmo col solo fiore
col mio corpo , graffio il mio respiro ,
vengo a te ,  nel regno dei misteri . 

Capitolo sesto
I primi raggi di sole si affacciarono ,sollevavo il mio sonno  da quella notte un po’ irrequieta ,un po’ ottusa ,ove le prime finestre si aprivano e i pianti viziati dei bambini erano dolci grida .Ai piedi della collina  udivo il fruscio delle foglie ,un brivido mi scosse dietro la schiena ,ebbe la sensazione  che qualcuno mi stesse osservando ,mi vestii e mi guardai intorno , ma nulla ,non vedevo nessuna cosa ,come se un fantasma mi avesse parlato ,e sfiorato ,si, era sicuramente la mia fantasia  che dava i numeri ,magari, li avrei sicuramente  giocati .

Tornai alla mia scrivania a scrivere ,completai la poesia e mi venne in mente il mare , cosa frequente  perché è un mio idolo il mare è la mia energia , è il tepore mattutino ,si, le meraviglie del mare  sono immense ,ad esso associo l’immenso ,il potente cielo , la vasta natura . Ritornai nei miei pensieri ,nel mio viaggio e scrutando lo scorrere delle ore ,mi accorsi di una cosa che prima non avevo notato :in lontananza c’era un’ombra ,che strano mi chiesi , da dove salta fuori questa ombra ,se prima non l’avevo vista ?La osservai meglio  e aveva le forme di una fata ,mi chiesi :ma le fate non sono tra le favole ,cosa ci fanno qui in pieno mattino ?Poi all’improvviso ,per magia svanì nel nulla ,evaporò ,si innalzò a spirale nel cielo .Fu una bella sensazione, pensai a mille cose , a una donna che voleva il mio amore  e s’era resa invisibile  in sembianze di fata per farsi vedere da me .Poi pensai che era la mia fantasia a vagheggiare ,oppure insonnato  vedevo quello che  desideravo avere .Quella mattina scrissi altro :

E tu .

Ricordo i momenti in cui ti sognavo accanto
e tu non sapevi
non potevi sapere
quanto i sogni miei fossero veri
si formassero e riempissero le mie notti .
E tu
li hai messi in disordine, scompigliati
ero pieno di uragani ed incertezze
ero solo lacrima e pioggia.
Ora insegni al mio cuore ,
spezzi catene infrangi desideri .
E tu
sogno bellissimo colore tenue
rendi il tutto reale,
lasci che sia il tempo
guardiano inconsapevole di passioni
mentre la tua voce , l'etereo suono
inonda la mia mente
tutto lentamente s'acquieta . 

E tu
ci sei ed io respiro.

Capitolo settimo
Nello stesso pomeriggio di quel giorno fatato il mio animo si fece spirituale e volli scrivere :
Il cantico narrante .

Il cantico narrante .

Canto primo.
 ( la fanciullezza )
Ed io fiorivo nel giardino delle rose
di stirpe antica raccolsi gloria.
Fu il primo tempo della vita mia ;
il primo gesto che mi rese uomo .
Andavo via per incontrar fortuna ,
da acri odori e sudori di fatiche ,
col cuore impavido  e il volto fiero ;
mostravo a tutti la mia inibizione.
Raccolsi pane al chiaro della luna!
Come nella giungla tra la nebbia e brina ,
stringevo tra le mani la mia madonna bruna ,
muovevo i primi passi verso l‘odissea.
Bevvi del buon vino nell’età dell’oro
e a piedi scalzi m’affamavo di miseria ,
di gaiezza mi  nutrivo ,
coglievo il frutto della fame .
Dal nido volai senza ali :
lì ,la prima prova per essere uomo ,
sull’aia ballavo le danze popolari ,
Ballavo la vita ,l a mia ,
sul pianeta terra incominciava .
Di profumi m’inebriavo !
Tutto intorno la bellezza m’assopiva ,
col companatico i sapori ,
mi punsi con le spine senza farmi male .
Fu breve  l’infanzia !
Da corsi d’acqua bagnavo le mie vigne ,
aprivo alla mente i primi sogni :
cantavo con i lupi gli inni dei poeti .
Ballavo danze contadine
e conobbi la selva scura ,
su i monti l’avventura .
Salivo così il primo gradino
della mia scala naturale.

Canto secondo. 

(viaggio nel regno delle anime)
La giovinezza .
E  mi trovai smarrito in un viaggio senza luce
perso al buio e non mi accorsi che ero solo ,
Oh pietose anime abbiate pietà di me ,
di me che onore infamo ,
di poesia bramo il canto del cuore mio .
Datemi voi la forza !
Datemi coraggio per camminare ancora ,
datemi scosse  di elettrizzanti lampi ,
di questi anni ,della mia giovinezza vera ;
le vere parole che mi furono sincere .
E tu uomo vivi per quel che sei
e non ti crucciare ,non sperare di vedere il cielo
se di sera chiudi gli occhi per dormire ,
io scrivo per orgoglio e taccio 
di ogni cosa ,la stagione ha la sua fine
il cui tempo fiorì  il fiore ,sfarzoso fu il nefasto regno ;
la nuova era emigrò amori .
E mi rivolgo a voi anime irrequiete
nella vita non si trova pace ,
adagiate il fato e raccogliete venia :
raccogliete le messi per dare pane .
Viaggio nel vuoto senza fine 
lì vado a cercare la mia paura ,
non ne uscirò ne son sicuro  l’alba è talmente rara .
Ritorno nel bosco della mente a vagare senza misura ,
scrivo col mio pensiero ,
con la mia penna combatto il male .
Oh Se fossi eterno pagherei la mia pace  ,in cambio del perdono
dal male perverso l’innocenza tremo .
E  mi chiesi: come verrò da te se paventi noia
a calpestare suoli dubbiosi ? In te io mai fui accolto
mai fui bramato del tuo sesso iniquo 
Io non volevo alcuna cosa oltre l’argine del mare
guardai in alto e vidi le tue spalle rosa ,
ti vidi vestita di raggi e danzavi tregua ;
volteggiavi  libera nell’abito da sposa …
E fu così che l’anima mia si genuflesse ,
al chiarore di quella luce fuggì pietosa ,
si volse indietro a rimirar bellezza ;
nel vagare persi .

Canto terzo .

La frivolezza per l‘amata.
Tentai invano di afferrarla ,
di cogliere il perduto fiore ,
Ella che ballava luce maestosa ;
 dinanzi a me si mostrava aggraziata ,
nell’oro del sole si appannava e scompariva .
Inesorabile si fermò l’ora scandì i suoi rintocchi  ,
 a sperar cagione  in memoria mi apparve rea .
Furono i nudi spettri a dare aurore a l’alma mia ,
ai dolenti spiriti dispiaciuti per la mia sorte si misero a volare :
alzarono le mani  ,e dagli inferi gridarono alleluia .
Vidi coloro che di sangue si eran macchiati !
Li vidi bruciare nelle fiamme dell’inferno .
Ed io urlai più forte il perdono
per farmi sentire dall’eterno padre :
anime dannate da quel inferno salirete ,
l’anima vostra ne sia degna e sana ;
confessatevi dunque ,pentitevi e  vedrete luce .
Continuai il mio vagare tra le fiamme
la mia strada ,a seguire l’unica figura ,
vagavo per  raggiungere la  meta
ove tu anima mia mi hai tradito ,
lì per troppi anni mi son perduto .
Ora tra le tenebre conosco l’eterno pianto ,
la menzogna è del mal voluto .
Oh dolce musa ch’è m’ispiri il mio canto a te dono
lo spirito mio ne va fiero .
Spesso pecco di gratitudine
l’estro del canto mi fu dato ,
i suoni  mi furono concessi ;
forse per amare il mio me stesso .
E scrivo ancora per amore un poema senza fine ,
Per la divina donna mi chiamò e fui reale.
Di comandar io la rinchiusi
in un solo canto l’ammirai .

E  ancora: Dante mi ispira !
Donna , che sia giudizio lassù infrange
l’amore mio per te resta evanescente ,
tale mi faccio di virtù , il tanto ardire vesto
ch’io a te parlai come persona franca e desta .
Ricordai di me e andai in un tempo ancora vivo
a chi mai leggerà questo presentimento lesto :
al povero illuso che odia e ama ,
l’anima mia non ne può fare a meno …
No , non sono io il giudicante , il giustiziere !
Non spetta a me dare sentenza vana ,
quello che ho avuto 
è il mio disprezzo e a null’altro beo.
Ora la perla nera nella cassaforte giace ,
la sua chiave l’ho gettata via ,
si prostrino a me i veri buoni
ed io riaprirò ancora fiumi …
Ma nella reale supponenza
la volgarità è degli immondi ,
purgano destini di infusi rari ;
su fogli di carta sputano veleni .
Questa è la sofferenza
ove le anime si sentono smarrite ,
vanno nel simposio dei commedianti  ;
dove l’amore trova il suo scopo.

Pienezza .

Il Seminatore di discordia .
E fu fraudolento il suo credo
Barattò il paradiso con l’inferno ,
Con la sua anima indossò tormento ;
Della sua discordia ne fa trionfo .
Furono i suoi vizzi ,i più profondi :
La carnalità gli diete vanto ,
S’abbuffò e soddisfò i mal pensanti ;
Egli era avaro della sua stessa ira .
Col prossimo fece il prepotente
Affila le sue lame con i denti ,
Tra i seduttori e gente lusinghiera
La sua ignominia gli dà lussuria .
Di bestialità ammanta l’attrattiva .
Furono vizzi le fisiche azioni
Volgono l’abuso all’attributo ,
Contro il volere il rifiuto ;
La sua patria è una terra infame .
Fu il seminatore della discordia !
Vive e regna tra tutti noi ,
Spande gramigna e olezzi impuri ;
Sul prato delle vergini va a dormire .
Ma dande disse :
vedi la bestia ,per cui mi volsi ,
Difendermi da lei famoso saggio ;
Ch’ella  mi fa tremar le vene .
E fu l’inferno sulla terra !
Nei cuori maltrattati nacquero innocenti ,
Su la gogna tra i cantori ,i poeti del duemila .
In ampi spazi furono riconosciuti
In’un’epoca che abbraccia il mare ,
Sorge il nuovo tempo ,la beltà e nuovi elogi;
I narranti della nuova specie.
Ma dante ribadì il vero:
E poiché la sua mano ,la mia prese ,
Con lieto volto ond’io mi confortavo ;
Mi mise dentro alle segrete cose .
Disse che tanto è amor ,
Che poco è più morte ,
Ma per trattar del ben ch’io vi trovai
D’altre cose dirò ch’io v’ho scorte .
E come Dante canto il mio sentire :
Canto il mio inferno dell’amore ,
Un’espressione logica degli umani ;
Canto l’altrui sdegno ch’è m’ha ferito
D’amore m’ha reso schiavo .
E il mio vagar continua ,mai si ferma!
Va oltre il mio intelletto crudo,
E nei conforti di colui che fu vate ;
Io l’irrisorio  mi prostro e mi riduco.
Seppur io l’apprendista ,banditore di inerzia!
Con la mia preponderanza vado  ,
Con una marcia lenta ;
Ogni vocabolo arricco  .
S’on’io il folle e mi metto in evidenza ,
La lirica mi commuove,mi dà apparenza 
Una presunzione illogica .
E nel liquame la miseria spande !
Ogni giorno abbonda ,
A macchia d’olio tra le menti ;
In ciance e lagne si manifesta sulla scena.
E salgo sul colle ,il più alto tra le nuvole !
Salgo su ,tra i confini dell’amore ,
Tra il vero e il profano ;
Ove gli opposti danno prova di saggezza .
Scruto la sorgente d’ogni fonte
Ove ogni gioia, delirio ottiene:
Di musica interiore suona .
Salgo l’ultimo gradino ,
È il massimo del mio essere poeta ,
Sempre più su,tra l’immenso scrivo;
Tra coloro che nella sua dimora sanno meditare .

Giovanni Maffeo Poetanarratore .

Si passai tutto il pomeriggio di quel giorno  spirituale e fu la prima volta che scrissi tale cose ,forse l’età matura mi riempiva d’amore e trovai dentro me la spiritualità il volgo a Dio ,che nella mia esistenza ho sempre pregato e chiesto aiuto .


Capitolo ottavo .
Il giorno seguente  nel finire del giorno volli andare  sul lungo lago ,qui  nelle mie zone ci sono  alcuni laghi ,andai  da uno di questi per passare una  serata diversa ,per ricordare un momento felice che provai alcuni anni addietro : si, quando ebbi una relazione amorosa  e in quel luogo fu il paradiso .Volli così , farmi un giro a piedi e passeggiare libero ,abbracciato dall’aria che sempre più si mutava in vento, un vento caldo di fine estate che mi dava energia ,emozione per le carezze avute da esso ,vedevo  la luna sempre più luminosa  nel calare della sera ,grandi ombre che si muovevano nel riflesso di essa ,dietro me , gli urli dei passanti ,mi sembravano  lontano e insignificanti , altro c’èra nella mia testa da pensare ,lì ,si, mi sarebbe piaciuto scrivere qualche verso ,avrei scritto :il canto dei cigni  ,ma scrissi a sera  tarda - Il canto del sole  -

Il canto del sole
Nello scrigno sei tu il gioiello
la tua perla brilla!
Sgrana palpiti canori
tra i raggi stendi i larghi veli.
È il canto del sole !
E tu in qualche angolo del mondo esisti :
vesti bizzarre maschere  ,
sulla sabbia vicina ad albe chiare.
Sei nel bulbo d’ogni fiore!
Nel dubbio di una scena stimoli voglie,
lì, il gioioso giorno libra ,
appari radiosa  tra i sacri lari ;
sei tu dunque la dea del focolare .
È nel prezioso canto la tua voce
il suono del mio vento ottieni,
sulle tue labbra c’è l’aria che respiro.
È nell’assurdo che spendo la mia vita;
io il rude ,voglio la dolce fata!
Voglio il sol che ride,
voglio te ,la tempesta nei miei risvegli.
Ciao !
Dove sei?

Capitolo nono
Nel tornare a casa la luce delle lanterne che costeggiavano il lago ,sempre più si espandeva ,luccicava sull’acqua e su i muri delle case ,sui pallidi fiori collocati in aiuole ai bordi delle strade mi apparivano  rigogliosi, ma allo stesso tempo incolti, trascurati  e ne soffrivo, io il loro amante  ,mi sforzai ad ammirare il lago , quel manto azzurrino fatto di ricordi ,di scogli di perenni d’alberi ove in primavera erano  i covi degli uccelli .Si, lì ricordai  una dolce fanciulla ,una di quelle che fu per me qualcosa di amore platonico romantico .La conobbi nel mondo virtuale ,tra le mie righe di poesia ove lei mi fece complimenti .Nel seguito ci parlammo e gli chiesi di dove era ,dove abitasse .Mi disse che mi avrebbe cercato lei e quando ci fosse stato il momento ci saremmo incontrati proprio su quel lago .

Gli dissi , si ,va bene ,ma che io comunque essendo lì vicino  andavo lo stesso e se lei avesse voluto ,potevamo incontrarci  nelle mattine della Domenica .Mi confermò il si, ma non mi promise nulla ,vedrò disse lasciandomi un sorriso . La domenica seguente passai dal fiorista e presi dei fiori con l’intendo di darglieli ,ero sicuro che si sarebbe fatta viva ,ma nulla ,non la vidi ,rimasi un paio di ore ad aspettarla  con i fiori in mano ,seduto  su di una panchina  ,chi passava mi osservava meravigliato ,come se  fossi un innamorato al primo appuntamento . Si era fatto tardi e decisi di tornare a casa , lasciai i fiori su dei rami  ai bordi del lago   con la speranza che se capitava lì ,li vedesse .

Il giorno seguente gli e lo dissi e mi promise che sarebbe passata a coglierli ,ma nulla ,la domenica seguente portai altri fiori e li lasciai allo stesso posto ,sembrava quasi come quelle epigrafi dove qualcuno muore e lascia dei fiori . La cosa si ripeté per almeno  cinque domeniche , anche perché ogni volta che gli lo dicevo ,lei mi dava speranza ,quasi mi incitasse a farlo ,era il troppo romanticismo che mi fregava , volevo l’amore ,quello prezioso e puro , quello magico ,quello che fa rabbrividire l’anima .La storia  volgeva a termine ,lei  fu plagiata da una donna ,una transessuole ,si, avete capito bene ,una lesbica che la voleva tutta per se e la mise contro di me dicendogli che ero un maniaco .Mi disse arrabbiata che io lo fossi e mi difesi avvertendola ,che quella donna mirava ad altro e di stare in campana ,ma fu inutile e sparì dalla mia vita ,peccato ,capitano anche queste cose


Capitolo decimo
Il mio cammino continuava ,sempre più capivo le donne i loro  segreti ,le loro voglie e emozioni ,che dire ,sono meravigliose ,ti aprono il paradiso col loro corpo ,con la loro femminilità ,il loro sentimento ,la loro voglia di amare Si, cammino ,il cammino del poeta la cui fiaba misera si veste di saggezza e esplora  ove si nutre di inerzie , di glorie fasulle ,di falsi plausi ,ove la dignità si maschera di facce ambigue e false promesse ,ove tutto ha un limite e non si crede più alla stessa specie ,un fasullo che nuoce alla salute ,al rimorso causando dolore , ma l’amore è dolore ! Ognuno dunque è fatto a suo modo e non si può contestare nulla ,né forzare un qualcosa che non si vuole o avere . Voltai pagina e quella parentesi mi fu di lezione , imparavo strada facendo tante cose da me ignorate , mai vissute ,rafforzavo il dunque ,e non solo la poesia che cresceva a vista d’occhio  col sentimento, col provare sensazioni mai provate ,Vivevo il quotidiano normalmente mi relazionai e capii  anche che l’amore non si compera al mercato dei poveri ,come dicono banalmente alcuni , arriva quanto meno te lo aspetti, ma questo è un detto banale a mio dire ,l’amore bisogna volerlo altrimenti non si fa avanti nessuno ,è come una placenta, si pensa sempre al miracolo,  all’improvviso  come un miracolo appare. Mah , io credo che bisogna stare con i piedi per terra  e non fantasticare ,anche se in poesia è una licenza poetica ,ma la realtà delle cose è ben diversa .

Capivo quel tempo per me entusiasmante ,essere partecipe a un qualcosa di magico ,mi faceva sentire importante , come se stessi entrando in un altro mondo ,fatto di sogni ,di  parole  mai scritte e che potevo scriverle in versi ,potevo buttare fuori la mia malia assopita da tempo ,urlare al mondo il mio narrare ,la mia voglia di vivere e amare . Il mio percorso continuava ed  in quel tempo anni 1990 sembrava tutto possibile o quasi . Con altri conosciuti su un sito letterario organizzammo un incontro a San Quirico D’orcia  cittadina medioevale in provincia di Siena . Io che non c’ero mai stato in toscana ,mi fece piacere andarci, anche perché reduce dalla mia ricerca genealogica ,studio che durò un decennio , scoprii che il mio casato fu fondato a Volterra e questo mi faceva sentire toscano .

Arrivammo e vidi con piacere la cittadina di San Quirico D’orcia :posizionata su una collina era  costeggiata da mura ,un castello  con le sue porte di ingresso e le chiese Gotiche e romaniche ,la vallata sottostante era una distesa di grano che colorava il sole ,riflettendo il bellissimo paesaggio collinare .Dopo avere visitato la cittadina ,andammo nel grande salone a poetare ,ognuno declamò il suo canto e a tarda sera andammo a letto. Fu una esperienza piacevole come altre ancora ,a Roma  ,ad altre città d’Italia , mi fece conoscere la gente fatta di doppio volto e doppia personalità , questo mi allontanava ,io che volevo unire queste anime in subbuglio che prendevano tutto per gioco e non capivano il vero senso della poetica , volevo unire e mi ritrovai solo ,mi ritrovai a fare i conti con me stesso ,a capire che anche in poesia c’è cattiveria ,invidia e mal costume.Ma questo mi dette esperienza e nel seguito  stetti lontano dalle critiche dai ruffianismi delle donne che su molti social parlano  gratuitamente senza limiti di pudori e squallori .Si , mi tiro fuori da questa merce senza valore ,preferisco essere me stesso e condurre il mio gioco ,non dare soddisfazioni fasulle alle misere menti .

Capitolo undicesimo .

Presi per mano la mia vita
Tratta dal mio romanzo - Il viaggio del poeta .
Riflettevo tra me e me
Mi chiedevo se ne valeva la pena continuare a sognare
A sperare all’abbaglio amoroso , il brivido fugace ,
Mi uscì dalla bocca un tono di voce rauco ,ferroso :
Era un singhiozzo rumoroso , un abisso olezzante ,inodore
Di un pathos platonico e suoni grigi ,di silenzi assordanti .
Sorpreso mi accorsi ch’ero un piccolo bambino ,
Facevo sogni da grande
E nella mia immaginazione c’era troppa enfasi
Poca la sostanza , il nulla mi fu dato .
Presi per mano la mia vita
Nel gaudio giorno e la portai sul mio cuore ,
Mi ripetei più volte all’inutilità dell’essere o volere ,
Di sperare amare con la volontà sincera
Ove l’amore ,non trova spazi per morire .

Riflettevo dunque tra me e me e mi chiedevo se ne valesse la pena continuare a degli abbagli amorosi ,mi uscì di bocca un tono di voce rauco e nel singhiozzo mi venne una risata ,quasi come dire :ma si, cosa serve  fasciarsi la testa per una musa che non sa leggere tra i miei pensieri, non sa analizzare il vero poema dell’amore .Quel pomeriggio rimasi a pensare tutto il tempo e mi accorsi ch’ero un piccolo bambino ,tornavo ad essere Giovannino ,quello che nel precedente romanzo ne narrai episodi della mia infanzia ,la vita che negli anni sessanta mi dava e mi metteva alla prova ,dunque facevo sogni strambi ,facevo sogni da grande ,da poeta e nella mia immaginazione cera troppa enfasi ,un rifugio ove vivere il mio  esistere ,la mia esistenza oramai matura e il nulla mi fu dato ,il nulla volli e  mi sostenevo nella scrittura ,dandomene ragione  cominciai a scrivere romanzi . Presi per mano la mia vita ,la mia anima , e la portai sul mio cuore ,mi ripetei  più volte dell’essere o volere ,del sapere amare  o abbandonare ad esso il pensiero ,volevo essere  a tutti costi con me stesso sincero e non cadere in trappole mortali ,non ne avrebbe valso la pena anche perché il mio tempo lo avevo fatto in amore , ma si sa ,il cuore  l’anima ,lo stesso corpo ne chiede energia ove l’amore stesso ,non trova spazi per morire .


Capitolo dodicesimo 
Un’epoca dunque  che dal reale ci porta al virtuale ,alle misere miserie dei tanti che non sanno relazionarsi e prendono  il virtuale solo come ricerca e sfoghi personali ove si propongono boriosi e saputelli rivelandosi poi dei buoni a nulla ,senza ne testa e ne coda ,senza nessun’arte da proporre ,ma di sfacciare il prossimo divertendosi alle spalle dei seri . Il poeta ,il vero può essere avvantaggiato per dare e fare conoscere  la sua arte ,resta chiuso in un contesto  social  ove va la presunzione e il prevalere quindi nulla vale proporsi ma avere dei propri blog ove chi  veramente vuole leggerlo, chi intelligentemente lo sa apprezzare ,d’altro canto è una epoca che in internet  ci entrano cani e porci e da questi ultimi c’è da stare attenti ,la loro ignoranza nuoce ai più umili e le devia in altre strade , nei pericoli della società abbietta e poco seria .Poi troviamo alcune che si passano per poetesse ,anche qui è miserevole la scena , è solo lagna tra le righe ,una squallida proposizione che nella mediocrità si imbrattano di vergogna e assurdo ipochitrismo .Capisco le buone intenzioni a chi nel tempo vuole realizzarsi e fare meglio ,ma lagnarsi in poesia è l’assurdo è piangersi addosso per farsi gratificare, è povertà di cervello .Comunque seguo il mio cammino e non mi fermo davanti a questa miserabile farsa ,non mi appartiene .

Seguo il mio io e con esso valuto il meglio ,la mia coscienza e il rispetto verso il prossimo e visto che si parla di prossimo ,vi parlo del mio ove spero che nel mio viaggio posso dare e fare di più ,posso realizzare il mio sogno poetico e percorrere il sentiero degli evoluti . Entro dunque in un concetto alquanto spirituale perché la prosa ,la poesia se non hai un minimo di spiritualità non vai da nessuna parte .E mi chiedo ,forse  la maggiore parte della gente questa ipotesi o saggezza la ignora creando una tempesta in un bicchiere d’acqua ,una bolla di sapone che sale senza scoppiare ,un humus  blasfemo senza ritegno e regno fortemente generato dall’ignoranza rimescolando gli assurdi concetti degli epiteti più turpi .

Ma la gloria di ognuno è la forza del volersi credere e nulla può farne confronto ,solo il credo apre le sue porte e raccoglie  anche l’ignoranza .Se vogliamo paragonare alcuni a Giuda Iscariota ad esempio c’è molto da dire .Figura nota nel tradimento a Cristo nostro signore , il sommo delitto ove resta il personaggio noto  ,ricordato nei secoli , dunque fu Cristo stesso a dargli memoria e lustro ,a far capire la miseria che in esso dimorava ,la differenza  tra il bene e il male .In esso molti gli somigliano come materialisti ,come invidiosi e prevaricatori della storia .Ma non si può fare male per ricevere il bene ,non si può odiare e poi amare ,chi lo fa equata  l’incoscienza , ed è privo di futuro , almeno quello morale ,come lui i  molti ladri che per egoismo fanno di tutto ,persino tradiscono le loro madri  e nel tempo si uccidono in mali modi , come appunto Giuda che si impiccò per la sua troppa ingordigia .


Capitolo tredicesimo .
Adesso parliamo un po’ della critica poetica ,argomento scottante e direi scostante ,perché è un argomento che tocca le corde altrui e guai a chi si permette d’essere criticato o critica.Ma ,sappiamo che la  buona critica fa crescere ,apre orizzonti diversi ,fa capire l’importanza a quello che si scrive.La poesia ad esempio in questi ultimi anni la scrivono cani e porci e tutti si sentono poeti,io credo che alla base di tutto ci vuole il suo tempo, e  non sparare a zero ciò che passa per la mente ,ci vuole costanza passione e dopo un lungo cammino si arriva a un qualcosa di sufficiente ,dico sufficiente perché il cammino è lungo e la critica a volte non è necessaria se si accorge da se stesso il proprio percorso :se provate a riprendere alcuni vostri testi  di qualche anno addietro vedrete che  la vostra posizione poetica è migliorata è tangibile ove la maturità della stessa vi ha portati ad accorgervi al meglio ,dunque la critica se fatta bene può essere un ingrediente di saggezza ,poi è chiaro che bisogna metterci del tuo ,altrimenti è meglio non continuare .

Vedo e leggo con dispiacere alcuni plausi gratuiti ove la prevalenza rovina l’ignoranza ,illude la persona e questa resta nel banale ,ignora la sua ignoranza quando invece potrebbe correggersi .Si sa ,la donna in questa particolare situazione a mio dire resta penalizzata , i tanti cacciatori di fortuna in siti letterari in social la fanno da padroni, commentano gratuitamente un corteggio che andrebbe invece criticato , che faccia aprire occhi e orecchie e non illudere la povera anima che si grociola nella falsa gratitudine .Comunque  ognuno si sente capace e come detto più volte se la costanza non li abbandona possono dare e fare meglio ,capire il senso poetico e con esso acquisirne i suoni senza studiare la metrica.Questa ultima è come un vocabolario ,deve servire nel caso di una ricerca significativa e non essere studiata a memoria, non serve ,sono i suoni stessi che danno il ritmo,la musicalità che scorre spontanea nel proprio sentire .

E’ anche vero che ci vuole un inizio  per continuare e qui subentra l’umiltà , la sincera passione ,la costante scrittura e lettura ,il senso logico del significato delle parole ,vocaboli mai usati che si vestono di metafore e sinonimi, similitudini che vanno elaborate per non cadere nel banale ,insomma un tempo che non ha ore e giorni, ma la sola passione  e convincimento di averla e praticarla ,dunque un ampio cammino poetico che non è una viaggio di piacere o sfogo personale o gratificazione ,è etica ove l’individuo si mette in gioco e parla di se ,del suo vivere ,un esplicito che pochi hanno il coraggio di narrare ,di mettere in piazza le proprie parole ,mettere in bocca le proprie storie nelle orecchie delle comari che aspettano  l’occasione per fare la critica ruffiana .Ed ecco dunque che bisogna distinguere quale critica  migliore bisogna accettare ,quale commento può essere comprensibile e il perché di esso .Prima mi sono riferito alla donna come oggetto  da indorare  ,ma non serve ,va invece analizzato il contenuto se naturalmente si è capaci, altrimenti statevene buoni e se è corteggio scrivetegli in privato ,rovinerete la volontà altrui illudendola .Chiudo questo capitolo con un sorriso ed io autodidatta pioniere del mio canto  vado avanti per la mia strada e vi parlo un po’ di me, del mio viaggio poetico e non solo .


Capitolo quattordicesimo .
Di me c’è molto o poco da dire ,come la famosa frase : dove andiamo ,cosa vogliamo .Io a dire il vero non mi aspetto nulla da nessuno, so che l’essere umano è egoista per natura e falso nelle complementazioni, dunque mi giudico da solo,  anche se in principio del mio scritto ho dovuto fare a spintoni per  la sola possibilità di mettermi in evidenza .
Fu infatti già da piccolino ove la mia povertà non mi dava occasione per darmi una certezza ,una sicurezza e sudavo il peggio ,la mia sgrammaticatura  era la faccia della mia ignoranza .Allora non c’era chi mi insegnasse qualcosa ,era tutto allo sbaraglio ,prevaleva la miseria e i pochi soldi servivano a mala pena per sfamarsi .Era il dopo guerra ,l’industria cresceva al nord e molti meridionali si spostavano con l’intere famiglie .Fu così anche per me che approdai in terra bergamasca .Era una giornata di sole  e dalla stazione presi con la mia famiglia il pullman che ci portò sulla città antica di Bergamo, scendemmo  alle porte  San Giacomo ,qui vi parlo di me  di un passaggio narrato sulle storie di Giovannino ,le mie storie fanciulle .Forse  è troppo  presto di parlare di valige dissi in uno dei miei raccontini  sul mio narrante racconto  seguo : Giovannino prima di andare via dal suo paese ha molte altre  storie della sua infanzia da raccontare .

In questa prima parentesi si dà accenno al suo tempo il mio tempo in cui si fecero i preparativi per emigrare in terra Bergamasca ,infatti tende a portarsi avanti per poi tornare indietro ,ma che comunque altre storie sue  vi verranno narrate .Dopo il lungo inverno passato alla casa di campagna Giovannino si prepara con i suoi a emigrare in terra bergamasca , era l’inizio della primavera e le prime gemme spuntavano dai rami ,si accorse che molte erano le cose da fare :salutare gli amici ,recarsi a Candida paese di suo padre a salutare la zia Francesca e lo zio Luigi Cavallone e i suoi cugini ,la sua nonna Giovanna Cutillo , la nonna paterna, che in quel tempo era ritornata al suo paese di Candida in provincia di Avellino ,lei nacque comunque a Boston in America ,poi tornata  in Italia con suo padre che emigrò negli anni precedenti alla sua nascita .Giovannino oltre che andava dalla sua nonna  ,doveva recarsi dal ciabattino che nel dopo scuola aveva lavorato da lui portando sulle spalle sacchi di scarpe  - avevo solo sette anni e dovevo salutare tutti ,insomma un da fare che ci volevano giorni per completare tutte quelle visite . 

Lasciava la sua amata terra e nel cuor suo c’era un velo di tristezza ,capiva che lasciava qualcosa di cui lui ne era innamorato . La gente con cui aveva condiviso il bello della sua prima infanzia ,le prime emozioni e gioie ,le scorribande nei campi e le varie corse che spesso aveva fatto giù per la strada sdrucciola dove c’era ,c’è la chiesetta della sua madonna ,la madonna incoronata ,dal viso dolce ,col suo bimbo imbraccio e la corona sulla testa ,spesso chiamata da Giovannino , la Madonna incoronata , li a pochi passi il laghetto dove con gli amici passavano momenti a guardare le rane i pesciolini appena nati .Correva Giovannino ,correva ancora lungo quella strada ,correva e non lo fermava nessuno ,correva tra il vento e la pioggia tra le foglie che l’autunno si  lasciava alle spalle l’erba fresca appena germogliata ,tra i primi ciclamini e i canti di uccellini che annunciavano la nuova primavera .Sentiva in se una nuova vita e a quella prossima che lo attendeva . 

Dopo aver salutato tutti ,un pomeriggio di una giornata di sole si recò nei campi dove suo padre aveva lavorato ,si avvicinò ad ogni albero di frutto alle viti ai ruscelli ,ad ogni angolo dove lui era stato e passato momenti di quiete di armonia dove lui ne aveva raccolto gioia e sfamato con i frutti la sua sete e fame ,si recò sull’aia e ballò la danza dell’addio .Pianse e rise e girandosi intorno guardò il cielo azzurro mentre l’aria fresca lo invadeva e colse l’abbraccio del sole. Colse l’attimo del cambiamento che per lui incerto ma sorprendente aveva solo dieci anni Giovannino a quella epoca e un altro mondo lo attendeva ,altre strade da percorrere altre storie diverse da raccontare ,di un tempo fanciullo ,di nuovi amici ,di un inizio che ancora in lui era sorpresa e non sapeva cosa lo aspettasse ,recarsi in una città del nord Italia era per lui una enorme meta ,come se fosse una montagna da valicare ,da raggiungere quasi a piedi ,e si,che lui di corse ne faceva,ed era il più veloce del paese che a quei tempi solo lui e un altro dal nome Gerardo erano capaci , anche lui rosso di capelli ,e nelle gare che facevano intorno al paese quasi sempre uno dei due vinceva . 

Lasciava la festa patronale ,i fuochi d’artificio ,le bancarelle e il muso del maiale ,questo cotto veniva mangiato con il limone ,lasciva le luci colorate che in quella ricorrenza venivano messe in tutto il paese ,la banda che suonava sul palco e i cantanti che allora rallegravano le serate di festa ,lasciava la sua chiesa dove piccolino si recava a pregare ,il monte Serrone  che costeggiava la vallata del paese , i santuari che la sua nonna gli aveva fatto conoscere, il monte Vergine ,il monte sacro, dove i devoti facevano voto di penitenza recandosi su a piedi . Lasciava la sua micia ,il suo cane ,che capiva che se ne andava e gli faceva le fusa, il suo cane gli scodinzolava la coda e faceva bau, come dire: perché te ne vai? La stazione dove spesso si era recato per andare al cinema ad Atripalda un paese limitrofo ad alla città di Avellino  ,rivedeva la fattoria della nonna Giovanna e quella della nonna Luisa e nel suo stomaco tutto si ristringeva .

Come una morsa feroce ,come se nulla volesse entrarci dentro, ma oramai era un giovanotto con una folta chioma riccia si sentiva un uomo o quasi. Arrivato il giorno della partenza e preparatosi la sua valigetta di cartone con pochi panni dentro e poche cose sue personali ,lui e la sua famigli si incamminarono a piedi alla stazione del suo paese Salza Irpina a prendere il treno per Avellino ,da li poi per Napoli e da Napoli a Milano per poi seguire il percorso per Bergamo . Giovannino partì da quella terra nel lontano 1961 e fu ospite in terra bergamasca ,seguiranno altre storie  che narreranno i precedenti e i proseguimenti ,altre avventure ,l’arrivo alla città antica della bella città di Bergamo. Nel lontano 1961 ,esattamente nel mese di Febbraio Giovannino approda sulla terra promessa ,la terra Lombarda .Faceva ancora molto freddo e il viaggio fu lungo in quel treno che a quei tempi dava l’immagine di una avventura .

Suo padre aveva preparato delle merende per quel lungo viaggio ,delle grosse fette di pane che sua madre aveva sfornato per l’ultima volta dal forno a legna, con dentro del formaggio e del salame ,companatico che lui stesso aveva prodotto ,una bottiglia di vino e dell’acqua ,Giovannino e suo fratello Saverio e Giovanna e la piccola Maria Grazia guardavano meravigliati i paesaggi che dal treno si lasciava alle spalle ,tutto sembrava meraviglia ,la mamma anch’essa era un pò timorosa ed emozionata ,dopo tempo rivedeva la sua mamma  e il suo padre  già residenti da un po’ di tempo a Bergamo ,ma il padre di Giovannino essendo già stato su era tranquillo ,e per due lunghi anni aveva trovato lavoro a una grande fabbrica  di metal meccanica ,questa ditta gli aveva dato opportunità di lavoro e di sicurezza per  la sua famiglia e per  avere una certezza di un lavoro .D’altro canto erano gli anni della ricostruzione e molte fabbriche del nord richiedevano manodopera .Era il tempo dove  in molti settori si apriva il bum economico e tutti  ne fecero tesoro ,come furono molte le situazioni politiche :di seguito infatti ci furono molte stragi e molti morti ,un paese il nostro di radici antiche ,di gente colta e grandi avventurieri ,di poeti e di scienziati, di gente semplice e grandi sognatori ,ma anche di furfanti e malfattori .  

Comunque  tutto era novità per Giovannino ,alle varie fermate delle stazioni di Napoli ,di Firenze ,di Bologna Giovannino guardava curioso il nuovo mondo ,le grandi costruzioni e i grandi condomini e palazzi d’ogni misura ,sentiva quell’ odore diverso dal suo luogo e apprezzava il bello che vedeva ,tra la gente notava il vestire elegante e si sentiva un pò pezzente ,lui che vestiva semplice :un pantalone comperato al mercato di Atripalda  e una maglia regalatogli da un suo zio che nel passato era stato da loro a trascorrere le vacanze ,un cappottino sgualcito e delle scarpe che il ciabattino gli aveva dato in occasione quando andò a salutarlo, notava la natura che in quel fine di febbraio si stava svegliando nell’attesa della prossima primavera e vedeva già le prime gemme sui rami, notava le grandi  distese dei campi e il colore della terra in quei primi tratti era nera, i colli della Toscana e le bellezze della bella Roma ,i profumi della Romagna e il suo mare ,e le distese della Lombardia grandi pianure  . 

La sua mamma accarezzava a se i suoi piccoli e con una timida voce gli sussurrava: comportatevi bene ora che andiamo su, rispettate gli altri e fatevi voler bene da tutti ,li si trovavano già i nonni materni che in precedenza si erano trasferiti un paio d’anni prima ,il nonno Saverio e la nonna Luisa ,quelli che avevano la fattoria nei pressi della stazione di Salza Irpina. Il padre aveva affittato un appartamento dal cugino di Giovannino ,figlio del nonno Saverio ,questo appartamento era sito nella città antica di Bergamo e lo aveva già arredato con gli arredi necessari per tutta la sua famiglia. 

Arrivati a Milano Giovannino vide l’enorme stazione e la moltitudine di gente che andava e veniva ,gente d’ogni ceto sociale che frenetica si muoveva in quel quotidiano per lui tutto strano. Preso il treno locale per Bergamo si avvicinava alle montagne della Bergamasca e l’aria fresca si sentiva sempre di più,il manto nevoso faceva da cornice e tutto dentro di lui era una evolversi di novità , un traguardo che stava per avverarsi nella nuova terra. Dopo qualche ora arrivarono a Bergamo ,alla stazione nessuno era ad attenderli ,preso il tram si arrivò alle porte di San Giacomo ,passando per le porte di San Agostino ,qui la strada costeggiava tutte le mura della città antica e si vedeva la città bassa un panorama incantevole per Giovannino ,un nuovo mondo si apriva ,un  nuovo luogo che già in lui gli si apriva ai suoi occhi come un qualcosa di bellissimo e travolgente .Arrivati alle porte di San Giacomo scende dal pullman con la sua famiglia .

Era una giornata come detto fredda ,un bel sole faceva riflesso sui palazzi antichi e dava quella immagine di un antico coinvolgente ,presero la stradina che li portava alla nuova dimora e Giovannino diceva al padre: Papà , ma quando arriviamo ?Ho fame! Il padre tranquillo e sorridente lo tranquillizzava ,gli diceva che ancora qualche metro e si sarebbero finalmente casati ,le valige erano pesanti e tante erano state le fatiche a portarle a spalla. Finalmente arrivati presero una strettoia ,la via Arena ,questa sita dietro al Duomo di città alta ,lì dove ha sede la piazza antica ,la piazza vecchia così chiamata ,salimmo diverse scale e entrammo in quella casa svuotano le valige e Giovannino sempre curioso chiese ai suoi di uscire per un attimo ,per andare a vedere quel luogo .Si recò alla piazza vecchia e vide tantissimi colombi ,una meraviglia! Era come se fosse stato sulla sua aia a giocare ,con la differenza che li c’erano i colombi , mentre sulla sua aia c‘era di solito la paglia per il fieno e il grano da macinare ,si addentrò nel centro della piazza e con lo stupore di molti si volteggiò su se stesso , alzò le mani al cielo e i colombi volarono in alto tra il cielo azzurro , tra se un grido di gioia e lo manifestò per aver trovato un luogo che a lui piacque già da subito,vedeva così la nuova terra.
Si, questa è una parentesi ove approdo in terra Bergamasca .


Capitolo quindicesimo .
Il mio viaggio continua e dopo avere lavorato per alcuni anni da mio zio in maglieria , feci altri mestieri e andai in diverse fabbriche ,allora bastava uscire da un posto per essere assunto subito in un altro :la mia vivacità era indefessa ,unica nel mio genere  e si avvicino presto il tempo di fare il militare .Mi mandarono a Merano ,in provincia di Bolzano ,li conobbi mia moglie e  fu un anno molto interessante . 

Avevo poca esperienza nello scrivere e come detto se lo facevo ero sgrammaticato ,sentivo in me la voce del poeta ,ma non capivo cosa e chi mi chiamasse ,avevo i soli vent’anni . Erano gli anni delle rivoluzioni sociali ,il bum economico aveva superato limiti  molto alti ,il benessere si proponeva ovunque e ovunque  c’era la possibilità di crescere  e guadagnare .Avevo molti amici  in quel tempo gli anni settanta , avevamo debito una a sala da ballo ,una specie di club privato ove la mia compagnia di amici e amiche andavamo a ballare .Era anche il periodo dei gruppi ribelli ,ma noi  non lo eravamo ,li conoscevamo a volte li frequentavamo nella nostra tana . Si la tana era il nome del nostro ritrovo ,arredata con in torno divani e giradischi  ,con immagini dei famosi di quel tempo, con lo stemma della libertà ,lo stemma dei figli dei fiori .

A quell’epoca  avevo lo stornello della Guzzi ,un cento venticinque di cilindrata ,manubri ampio sellato con borchie in acciaio .Mi boriavo nell’andare in giro  ,specialmente quando portavo su la ragazza ,ero un bulletto buono ,seguivo i consigli della mia mamma e rispettavo  il sopportabile .
Non c’area ancora traccia di poesia ,ma di romanticismo tanto , quello non mancava specialmente quando si ballava stretti nei lenti  al buio .

Non avevo avuto una cultura di base ,avevo  avuto la quinta elementare al paese e mi promisi alla veneranda età di venti anni di riprendere gli studi .Era comunque un sacrificio io lavoravo e non potevo studiare ,dunque come detto andai militare e lì c’erano i corsi gratis ,corsi di terza media ,mi iscrissi e nel pomeriggio  nella stessa caserma con altri partecipavo alle lezioni, la sera  alla mensa ufficiali dove ero in servizio come  servizio vari aggregato al comando e come attendente al  colonnello Guaschino  , nella stessa saletta di lettura degli ufficiali facevo i compiti aiutato da loro stessi .Persino il capitano dell’auto reparto mi dette aiuto , visto che facevo parte del comando  su mia richiesta mi fece frequentare la scuola guida .Per farla breve in pochi mesi presi la patente e nel corso dell’anno il diploma ,in più come detto conobbi quella che fu poi mia moglie e ebbi da lei tre figli , una femmina e due maschi .

Mi offrirono la ferma ,dovevo solo accettare e firmare ,da subito sarei passato sergente ,le la futura moglie lavorava presso una casa di riposo ,ma  decisi di tornare a Bergamo dai miei ,peccato era una buona opportunità avrei lavorato meno e  forse guadagnato in salute .Ma la vita poi è strana ,volli così tornare a lavorare nel settore tessile mentre la mia donna aprì un laboratorio di lavaggio a secco ,mi resi conto che in quel settore del tessile non c’era per me miglioria e decisi di fare domanda nella scuola come applicato di segreteria ,allora si poteva avendo solo la terza media che avevo conseguito a Merano ,questo mi entusiasmava perché già sentivo che frequentando  quel contesto  potevo migliorarmi negli studi ,e così fu .

Cominciai dunque a scrivere  delle specie di lettere ,non erano poesie ,ma solo scritti amorosi ,poi nel tempo li ho perduti, peccato . Dopo varie supplenze  periodiche presi il posto nella scuola superiore , nella segretarie d’azienda ,facevo fotocopie ,servivo le insegnanti, andavo per la posta ,pulivo i macchinari  adoperate dalle ragazze ,insomma un lavoro piacevole e quello fu per me un buon inizio verso la cultura io che ne ero al buio ,che ne avevo passate tante e tante .Mi adagiai senza scrivere nulla e non continuai a scrivere lettere o narrare nulla ero fermo .Fu un lungo periodo di  lavoro , uscito dal mio lavoro verso le quattordici e trenta mi recavo in laboratorio ad aiutare mia moglie  che fina a sera tarda operavo con i macchinari di lavaggio e stiro . Tanti anni seguirono ,con i figli da crescere i vari impegni da onorare ,insomma non c’era ancora traccia della poesia che comunque in me c’era ma non veniva fuori  , c’erano troppi pensieri di altro genere da espletare ed era forse quello che mi impediva di scrivere .Il mio lavoro nella scuola andava avanti al meglio ,mentre cambiammo più posti di laboratori e ogni volta  cambiavamo casa ,compravamo e vendevamo il vecchio per andare nel nuovo .Era il fine anni settanta  e non so come o cosa che mi venne l’idea di studiare genealogia ,non era un corso o una scuola da frequentare , ero io che come autodidatta ebbi la nostalgia di sapere il sapere ,di ricercare una nobiltà perduta ,chi ero, da dove venivo e dove volevo andare .

Passarono dieci lunghi anni e ricostruii tutta la genealogia dei Maffeo, nobili Maffei ,girai in lungo e in largo l’Italia tra archivi di stato e biblioteche storiche , tra parrocchie e cimiteri ,tra paesi ove le stesse ricerche me ne davano notizie .Nulla da fare  per la poesia  non ancora ne faceva presenza nel mio animo ero troppo impegnato con la genealogia ,fin quando un giorno nei numerosi documenti ricercati e avuti dagli archivi di stato ,di Avellino, di Verona , di Napoli , di Firenze e mirandola di  Volterra e Torino ,di Bergamo e Milano ,insomma una marea di documentazione tutta da analizzare e tradurre .Fu nella documentazione di Verona che trovai alcuni sonetti del 1450  di alcuni miei antenati ,sonetti bellissimi e mi attrassero , avevo quasi completato la ricerca di studio e volli cominciare a scrivere qualcosa .

Lo facevo dedicando loro , agli antenati ,gli antichi progenitori che nei tempi i loro padri si erano ramificati nelle maggiori città italiane dando lustro e  nobiltà , la maggiore di questi erano letterati poeti ,orafi ,giudici  senatori e vescovi in San Pietro  molto vicini al papa di quei tempi  .Mi meravigliai di tanta  lustrezza   e bellezza d’animo ,delle loro scritture dei loro beni che ogni ramo di essi avevano lasciato ai futuri eredi , erano gente ricca e molte le cariche in armi e in cariche politiche e governative ,insomma cominciai con lo spirito di umana virtù .
Scrissi dunque la prima poesia a loro dedicata .

Progenie.
Ho cercato da tempo una croce
dispersa nel sangue
nelle vene del mio gene.
E nasceva in quella valle
la mia gente
veniva da lontano
a cavallo di un destriero.
Ed io nacqui genuino
da un seme di un prato
all'alba di un mattino,
e fui presto designato.
Crescevo la mia vita
all'ombra di una quercia,
raccogliendo i loro nomi
per farne grande gloria.
Progenie arrivate da lontano
da una civiltà Greca,
narratori di una storia
portatori di una stirpe.
Il casato fu creato
a Volterra fiorì il ceppo
la loro insegna hanno lasciato
dando voce al guerriero.
Il cervo rampante
è lo stemma
Lutio il fondatore
di stirpe antica Cavaliere. 

Dedicata alla nobile famiglia Maffeo nobili Maffei


Capitolo sedicesimo .
Come spesso da me affermato  , i trascorsi han fatto il loro tempo ,restano fautori di un’arte antica ,uno specchio da guardare da lontano ,un’arte insomma superata e a mio avviso resta come una matrice storica , ove da essa si trae maestria e insegnamento ; come più volte ribadito  resta l’essenza poetica .Il poetare ,il narrare , col tempo va cambiato a secondo le epoche ,cambiano gli stili ,le forme ,i ritmi ,la stessa metrica non viene concertata ,ma a mio dire può servire come deterrente istruttivo  e informativo ove  il principiante o lo stesso autore affermato la può considerare  e ne va valorizzato al meglio ,come usare un vocabolario , si va ad attingere informazioni . I vecchi stili passano di moda e vanno rinnovati ,bisogna aprirsi ai nuovi ,come alle nuove forme espressive  , sia per le assonanze che per i nuovi vocaboli e la stessa metafora o interazione e locuzione  e nel tempo  si formano i nuovi linguaggi  ,quindi la metrica Italiana resta  come detto il vocabolario informativo . Resta la sintonia dei suoni ove il poeta ,lo scrittore ne sente e ne esalta la musica ,ma come detto in forme e stili diversi . 

Una volta si dava principalmente importanza alla rima baciata ,per accentuare la musica visiva e declamatoria ,oggi resta obsoleta ,quasi  come se fosse filastrocca per bambini, si utile ai piccoli per introdursi nel canto poetico , ma non più in voga tra i contemporanei .Ci vorrebbe dunque un insegnamento da parte degli insegnanti a mio avviso meno retorico ,ma contemporaneo ,ove l’alunno  può accedere con semplicità al verso ,alla composizione delle strofe ,al non  imparare a memoria un canto dei trascorsi e poi non capirci nulla .Con i tanti artisti del passato perché non dare voce ai presenti ?
Nelle scuole ,si insegna letteratura antica  come se fosse l’unica  fonte istruttiva per l’alunno e non è vero , molti i nuovi presenti che hanno e danno molto quindi p come la vedo io non si può considerare uno stile antico come insegnamento se esiste un contemporaneo .

Capitolo diciassettesimo .
Oggi dunque vi parlo della prosa e dell’avvenire poetico con passaggi di  un passato oramai scaduto . Come da me evidenziato , se stiamo attenti nelle varie letture  e osserviamo notiamo molte similitudini .Se si scrive un romanzo ad esempio , e viene scritto da un poeta ,la stessa scrittura narrante viene a tratti poetizzata ,può essere una fonte per l’apprendista poeta e dunque resta semplice il concetto : lo scrittore  sa bene che nel comporre un romanzo  passa come detto a similitudini poetiche ove è necessario assonare il passaggio narrante perché deve evidenziare non solo le immagini ma dare una lettura emozionale al lettore ,le stesse sensazioni  si fondono  nell’empatia di chi legge ,nel concetto  immagina torio dell’artista . Perché chiamiamo romanzo una narrazione o prosa ? 

E semplice da capire :analizzando attentamente la etimologia della parola  Romanzo ,troviamo romanza .La romanza è il canto eccelso dal contenuto romantico poetico, ma anche per canti lirici di opere , e dunque dalla romanza il canto sublime degli amori ,nasce la poesia e  noterete che in alcuni passaggi del romanzo che si evince il verso che una musica di assonante da il ritmo alla scrittura e la rende piacevole quasi come si leggesse poesia ed è magnifico questo connubio artistico . Ma poi andiamo al dunque e parlo al ritroso ,dei tempi originari del canto ,della narrazione : la poesia antica come saprete sfocia dalla Grecia per poi perfezionarsi in Italia ,infatti le grandi opere di Dante ,di Virgilio e via discorrendo fino agli anni del risorgimento Italiano .Ma la melodia Ellenica fu tra le prime e ancora oggi con la ci da insegnamento e cultura  contemporanea fino ai nostri giorni ove i letterati si sono versificati e appunto , rimangono basi di cultura da estrapolare significati di nozioni eccelse . 

Il romanticismo dunque fu ed è l’artefice d’ogni cultura ,di immensi scritti ,di poesie ,poemi ,romanze e lettere d’amore ,una infinità che è immensa ,un patrimonio culturale che non basta una vita intera per prenderne visioni .La poesia dunque come detto è figlia della romanza  e dalla stessa poesia  nasce la canzone ,quindi canti con musiche ove si è fatto una scelta ,a mio dire ,paradossale ove prevale l’interesse e si sceglie la migliore forma per commerciare per fare soldi .Sappiamo che i critici, i commercianti di parole sono gli stessi romantici che affermano la poesia e resta soltanto come pensiero cantato e non declamato delle vesti antiche  o  moderne ove si dovrebbe darne prevalenza artistica .

La poesia solitamente viene letta in una lettura visiva , qui il letture fatica a seguire i suoni ,la musicalità che c’è in essa ,mentre nella declamazione e con sottofondo musicale troviamo il testo meno impegnativo perché ascoltiamo e sentiamo ,dunque non è più il cervello che deve elaborare i suoni ma è l’udito che ne esalta l’emozione al cervello .Ad oggi molte sono le cose che sono cambiate ,il poeta assiste inerte alla morte della sua poesia ,ad una mutazione della disfatta che si vuole tenere in piedi ,ma che cade a terra ogni qualvolta che se ne prende visione perché  c’è poco da guadagnarci sopra e le ristampe dei trascorsi sono più appetibili perché non c’è poco da investire ,mentre il contemporaneo resta senza parole .Il romanticismo resta  contemporaneo ,anche se ai nostri giorni è divenuto forma di convenienza ,si riversa altrove ,non più nella lettura nuda escludendosi dalla scena .Questo non è un bene per la poesia .
.
Capitolo diciottesimo
Ed ora prima di continuare per poi concludere  vi lascio alcune mie poesie :


Ti guardo mentre sogni
Sei  vena nelle arterie
mi servi per scrivere pensieri !
Nei perversi versi ,delle distorte visioni .
Nel destarmi mi appari ombra !
Dal bellissimo incubo
rubi la mia anima ;
il desiderio per te rimane effimero.
E bruciasti di passione
il tuo no , si scagliò contro il vetro.
Fosti pietra ,martello sull’ incudine  …
con forza lapidasti il nostro amore .
E mentre i rivoli di sangue scorrevano a fiumi
ti osservai come se fossi  una bambola,
eri l’inutile contrasto che m’appariva vigoroso ;
la magica potenza dell’oppressione mia .
Abbandonavi così le mie carezze !
Negli oscuri labirinti ti smarrivi ,
perpetravi ogni evenienza ;
sulle spalle dei deboli  t’appoggiavi .
Traslocarono in me l’essenze
e guardavo te mentre tu dormivi :
sagome d’amanti sbigottirono gli eventi ;
fosti tu l’inviolabile amore.
Nell’austero silenzio ti tesi le mie mani ,
e fosti eruzione ,
Non servì il mio perdono
restasti gazzella ,avvinta come l’edera.
Ti guardo mentre sogni
nel mio inconscio  ,
dopo il giorno sei tu la notte ;
l’alcova del mio cuor crudele.

Tripudio dolente .

Bizzarra fu la mia storia ,
non volle catene incubi da smaltire
e singulti da vomitare .
Non volle , non vuole ,
merce di seconda mano
baratti obesi , vissuti poi scartati ,
mercificati da forme ambigue .
Tu, si , dico a te , che hai l’anima ribelle ,
tirami fuori da questo inferno …
da questo tripudio
che mi eccita la fantasia e mi sotterra .
Potresti violentarmi oppure amarmi ?
Potresti uccidermi , nel mentre ti penso
tante cose  potresti fare ;
sono un giocattolo che costa poco .
Ma il mio delirio è onnipotente , irremovibile !
Soffoca le più belle storie …
vuole entrare nel tuo male oscuro ,
guarirti , dall’ossessione dell’amore .
Parlo di te , ma sono io il folle !
Con lingua tagliente eccito la carne
bestemmio parole inutili ,
lì dove basta una sola intesa .
Orbene ,si, è di te che parlo , donna !
Potere occulto  della mia anima e mi imprigioni ,
mi avvolgi su fili di lana  ;
mi ami , perché la tua ombra
si abbraccia con la mia.

S’affaccia l’amore
In questa alba estrema
è timida la  musa ,
è fragile , piccina si concede .
Ha un viso dolce ,
ha gli occhi languidi ,
ha un sorriso di prima estate ,
è piena di vita .
S’affaccia l’amore !
Ha il volto tuo , ti somiglia …
Indossa il mio verso ,
con le unghie al mio corpo si appiglia ;
sospira e bussa , nel fumo denso evapora .
E  diventa nuvola flagellante !
Avvolge veli al cielo terso …
inneva paesaggi e le bianche cime ,
in alto , il rosso acceso è brace  .
S’affaccia l’amore ,
fa capolino dietro la collina ,
ha i colori del mare …
di una brezza che fomenta desideri .
È  l‘amore permaloso !
Vuole a se corpi umidi e labbra di fuoco ,
vuole il fatto compiuto ;
la prova d’essere il vero .
Vuole me bizzarro sconosciuto ,
con la verga da profeta  e il viso stralunato ,
con la pretesa d’esser bello
e la testa d’un cavallo ,
s’appunta sulle smunte gote .
S’affaccia l’amore ed io mi arretro , ho paura !
Butto le mie chiavi in un fondo di bicchiere ,
butto all’aria  la penetrante gnosi ;
la forma intuitiva del diabolico cuore .


Abbiamo bisogno di piangere

A mani nude ti tocco il cuore
Nel silenzio dei sordi il mio eco ,
Nel grido dei bambini crolla il paradiso
Assorda l’anima e singhiozza il giubilo .
Abbiamo bisogno di piangere
Siamo troppo avidi per soffrire ,
Aridi nei sogni ,diffidenti nell’amare
Distanti anni luce ,da un abbraccio ,da un bacio .
Siamo aquiloni abbandonati nel vento
Su strade  ,la nostra ombra,lascia gemiti d’inferno ,
Lascia ,la sventura travolgente e disperde ogni sforzo
Lascia , il lupo che urla tra le foglie e il piccolo innocente .
Lascia me ,che ne narro un canto
Un dolore vagabondo, un nome ,
E col tempo , su una epigrafe ,viene abbandonato
Vien lasciato un fiore , è l’elemosina dei buoni .
Abbiamo bisogno di lacrime ,di una buona azione
Di un giorno di sole ove la luce falcia la miseria ,
L’indifferenza ,lo scetticismo mostra volti bui
Dell’acqua sepolta che riemerga i sorgivi .
Abbiamo bisogno di amare l’amore e non diffidare
A qualsiasi età ,ad ogni ora ,negli anni bui ,nei giorni lieti ,
Ove l’elemosina del bene abbia gli azzurri mantelli
Il chiarore bianco della neve ,la purezza dei bambini .

Giovanni Maffeo Poetanarratore .

Vivo quando ci sei
Come zagare al vento  il tuo volto spandi ,
in puri palpiti il sentimento vola ,
vola nel sonoro tempio …
Dov'io incontro gli innocenti tonfi.
Si,  sei  tu  la musa !
E non posso immaginarti nuvola ,
o pioggia , o fantasma …
Tu esisti  ed io ti vedo  .
Vivo quando ci sei !
Ti sento sai …
Dentro me ,dentro te ,
già tuonano gli ormoni ,
bizzarri impazziscono
al pensiero di un bacio .
Io che vivo solo quando ci sei
è una sensazione unica !
È come essere trascinati in volo ,
infondermi nell’immutabile bagliore ;
tra sospiri ti rivelo i miei segreti .
Tu la  frontiera invalicabile  !
Di seta vesti la fresca rosa ,
vieni in me nell’alba scura ;
appari radiosa e piena di vittoria .
Porti  con te la tenue corolla ,
ove proteggi  il buio dall’inverno :
mi  dai luce e mai potrai toccarmi .
Vivo quando ci sei …
È come vederti da vicino ,
rincorrerti come fanno i bambini ;
sotto un manto di stelle ,
al chiaro della luna .

Datemi la verità
Quanti egoismi si bruciano nei sentimenti folli
Si ipocrita la vena deludente ,
L’acqua torba lacrime  fasulle
Nel giglio puro , lo sbrigliato cuore si arroventa .
Voi ,si, voi , datemi la verità !
Datemi l’aria di Maggio ,le schegge d’un sole cocente ,
Le camminate sulla terra 
I fiori di Marzo , che sbocciano dalla neve .
Datemi il sentiero della mia solitudine
Lì , non troverò radici , per te attraverserò i mari ,
Resterò cieco e sordo
Mentre i gabbiani danzano sul prato della vita .
Datemi i boschi e le foreste
Per cercare i vezzi vagabondi e le loro linfe ,
Le ninfe , che han lasciato i loro ormeggi
Son fuggite sui colli delle floride radure .
Ed io che non voglio nulla da nessuno
Ho deciso di offrire il mio tempo alla collera ,
Al mio romanticismo ,al pensiero cantato
Alla sinfonia ch’è s’agita nelle profondità dell’anima ,
Balza e si propone sul palco di una scena .
Ma voi intrusi , gente senza fede
Datemi la verità , l’io falso ,l’io ambiguo
L’io mio,  ch’è s’apre rumoroso tra le figgenti frasi
Si delizia e sazia nella mia anima mostruosa .
Non datemi nulla ,voglio restare senza voce
Chiudermi nell’assorbita pace
Ove il mio verso tace la mia gloria ,
Esecra  lacrime di giubilo
Scroscia muto , tra i languori insipidi .

Giovanni Maffeo Poetanarratore .

Capitolo diciannovesimo .
Vi chiederete perché la lettura visiva il cervello deve elaborare suoni ,immaginare immagini ,concertare assonanze e ritmi elaborando suoni tra le righe dei versi ,per la poesia declamata è diverso :viene udita  e non solo, mimata atteggiata armonizzata  con la voce ,dalla musica di sottofondo ed è più completa .Nel tempo la poesia come detto diventa canzone valorizzando non solo il contenuto ,ma la musica , chi la canta .

Una volta venivano chiamati - cantastorie -  o banditori dell’amore , il romanziere poetico ove si serenava l’amata . Ad oggi tutto cambia il poeta assiste ad una mutazione e ne ascolta la sinfonia ,la melodia e assiste inerme alla disfatta dello stesso canto .Il romanticismo si riversa altrove ,non più nella lettura visiva ,lettura nuda ove il poeta ha dedicato la sua arte  , il suo tempo escludendosi dalla scena ,da un palcoscenico oramai vuoto .Questo per la poesia non è un bene è come sopprimere un qualcosa di sublime .

Si può comunque dare una ragione filosofica se vogliamo a rinnovare vecchie anticaglie ove han sempre sparso le loro idee .Come detto erano altri tempi  e poiché l’essere umano non gli dava importanza o appunto non esisteva una modernità per cambiare e non era nella pienezza del suo sogno . Si può desumere  la capacità d’essere poeta rientra poi come elaboratore delle stesse sue ispirazioni ,della sua coscienza e con essa affonda le sue  radici nella sua anima inquieta e fragile .Egli coltiva ,indaga , scruta l’ispirazione  con l’animo di un bambino , col suo pensiero e ne diviene sviluppo naturale .

I tanti ad oggi si proclamano buoni autori ,altri si attribuiscono meriti ,a mio dire ,fasulli o sola gratificazione dove sfocia l’interesse ,ma ognuno vuole vivere il suo momento di gloria e farsi ricco della sua trepidante illusione  vivendo insani momenti di falsa gloria . Il poeta ,il vero, si fa veggente di se stesso ,della sua stessa anima ,è il pioniere del suo bagaglio pesante che da anni  scrive ove la spiritualità gli da energia e musica il suo cuore . Questo comporta sacrificio e a tratti nasce la sfiducia  che si sgretola come sabbia nei suoi sensi .


Capitolo ventesimo .
Sono forme alcune distruttive ,egli ricerca e riesce a risorgere ,a continuare nelle poesie d’amore ,di sofferenza e a volte cade nella pazzia .Dunque  cerca egli stesso il suo io , diluendo e scacciando i suoi rancori , i suoi veleni amorosi per non esaltarsi alla quinta essenza ,al protagonismo egoistico che nell’essere umano è di casa ,si da forza per continuare il suo percorso .,il suo viaggio da poeta .
Egli comunque è fortunato e come detto alla base deve credere e sentire la spiritualità , la purezza della sua anima ,a quella grinta di non mollare la quale ha patito e gioito ,detto da molti - il grande sommo - Efferato dal suo sapere ,dalla passione ,valica ogni difficoltà ,l’ignoto , ove a volte perde la cognizione della sua stessa esistenza e le proprie visioni ,le stesse ispirazioni .

Quindi si ritorna al romanticismo ,forza necessaria scaturita dall’amore ,per amare nel tempo nella sua avanzata età ,deve amare l’amore . Comunque non è retorica la mia ,è la ricetta della realtà di un’arte antica che si rinnova e non va trascurata .Si può anche affermare  ,che il poeta è un ladro che ruba se stesso ,perché si ruba la sua vena artistica e la mette a disposizione degli altri la dona al lettore .Egli si fa carico  dell’umanità  intera ,narrando in poesia  le loro storie ,vuole far sentire il suo grido muto  attraverso il suo eco e chissà un giorno ne può divenire un linguaggio universale .Io credo che ognuno di noi può diventare poeta ,lo può essere anche senza essere un accademico o un professore di lettere ,bisogna avere tanta umiltà e saggezza ,molta la sensibilità percorrere questo cammino non è facile perché ogni giorno è poesia è costanza ed è un dono naturale che non tutti hanno .
Il tempo comunque da le sue ragioni i suoi risultati e solo allora si può essere certi nel proprio io che qualcosa di magnifico è successo .


Capitolo ventunesimo .
Il mio viaggio cammina nell’ignoto ,trasuda, palpita ,si ingegna e s’ammoderna ,nella declamazione , nel  mio stesso canto libero ,la mia poesia mi sorride ed è una sensazione unica ,gioisce fanciulle e madri ,amanti e spose ,romanza l’accaduto  dei giorni e si platea in spazi eterei , ove come detto la tecnologia ha accorciato le distanze , ove la luce del verso  illumina l’infinito è palpabile per toccare l’involucro del cielo .

Vivo gli anni novanta come esordio ed ebbi difficoltà ad inserirmi nella mischi dei detti poeti ,in quel mondo letterario sempre più agguerrito io che avevo conseguito solo la terza media e nella situazione precaria della mia famiglia  non c’era stato aiuto ,eravamo poveri ma ricchi nel cuore i miei aravano la terra a volte di notte al chiarore della luna  per non subire la calura del sole ,era per loro una doppia giornata di lavoro ,la mamma a mattino presto accudiva gli animali nella stalla e dopo munta la mucca ci dava il suo latte ,ero piccolo , avevo i miei primi anni .

Tutto ciò appariva bello ,naturale ,come vivere in una favola , Dunque venivo da un rurale  molto faticoso e sofferto ,infatti in molti miei primi scritti si evinceva l’errore grammaticale ,continuai e mi spogliai d’ogni pudore .Il mestiere del poeta nel cuor mio taceva ,sia nell’adolescenza che poi di età matura .

Sposato  con tre figli rubavo gli attimi per scrivere .Erano i primi periodi in cuoi internet si apriva al mondo e attraverso l’aiuto dei miei figli imparai ad usare il computer  per poi iscrivermi ai primi siti letterari .Un percorso sdrucciolo ,vorticoso il mio a tratti deludente ,ma non demordevo e volli reagire ,come le altre cose portare a termine quello che iniziavo a fare .

La mia caparbietà mi soddisfava  facendomi a volte dei nemici ,gente senza scrupoli e niente sentimento .Rubai dunque le parole e i loro significati ,tra le righe l’essenza e mi davo padronanza .Divenni così autodidatta  per mia convinzione  e non mi fermò nessuno ,anno dopo anno mi rileggevo e  mi accorgevo che la mia scala naturale saliva ,mi arricchiva di nuovi versi e nuovi vocaboli . Ad oggi quel  sacrificio letterario mi  conferma tra i migliori contemporanei .

Capitolo ventiduesimo .

L’involucro del cielo
Prendo per mano la mia vita
e il mio viaggio cammina nell’’ignoto
trasuda, palpita ,s’inchina
si ingegna e mi scopro nudo ,
s’addolora nel declino .
Nella declamazione dell‘amore
nel  mio stesso canto libero ,
la mia poesia mi sorride
ed è una sensazione unica ,
gioisce a fanciulle e madri ,amanti e spose
romanza l’accaduto dei giorni e si platea ,
in spazi eterei largisce la mia musica
ove accorcia le distanze fragili ,
ove la luce del verso  illumina l’infinito
è palpabile per toccare ,l’involucro del cielo .

Giovanni Maffeo Poetanarratore .

Il viaggio del poeta .

QUI VI RIPORTO  IL Discorso tenuto al Festival internazionale di poesia , CON MIE AGGIUNTE DI CONCETTO .
‘Poetry on the Lake’, Lago d’Orta, il 2 ottobre 2010.
Traduzione di Francesca Diano.

I poeti, come gli altri scrittori, hanno un problema fondamentale che, esposto in parole semplici, è il seguente: esprimere l’ineffabile.
I poeti, come gli altri scrittori, devono misurarsi con il tentativo di tradurre in parole le emozioni e i pensieri più profondi e i grandi misteri dell’esistenza, sapendo fin troppo bene che il finito non può contenere l’infinito. 

È come tentar di agguantare un buffo di vento per racchiuderlo in un paniere, o caricare una trappola per topi per catturare un raggio di sole.
La lingua, alla fine, non potrà mai essere adeguata; eppure il poeta deve reprimere questa convinzione. I poeti devono fingere che la lingua possa descrivere i grandi misteri, consapevoli che il castello letterario che costruiscono è edificato con secchielli di sabbia verbale.

Gli strumenti che il poeta usa sono le parole, così come l’artista i colori, e il musicista le note. Dev’essere versatile, talvolta miniatore, talvolta capace di creare enormi tele, talvolta graffitista. Deve giocare una partita a scacchi tridimensionale con sé stesso, deve mescolare quelle che Boris Pasternak ha definito le tre materie fondamentali della poesia, vale a dire musica, pittura e significato, combinandole con precisione tale da produrre l’oro alchemico. Per ottenere tutto questo, è necessario entrare in uno stato di semitrance, pur rimanendo sempre bene all’erta. Se il poeta guarda dalla finestra, forse è possibile che osservi, ad esempio, il vento che scaglia un grigio flusso di pioggia contro il fianco di una collina a Sligo ma, in realtà, vedrà i pavimenti d’oro di Bisanzio.

Attratto da tutto quanto è impalpabile, improbabile, impossibile, il poeta lancia la sua rete e cattura una o due farfalle, e forse anche una falena o una libellula. Sa bene che le parole per citare Eliot: scivolano, sgusciano, muoiono, Si sfanno nell’impreciso, mai rimangono al posto. Non stan ferme.

E, se è veramente sfortunato, può imbattersi nelle parole del poeta Sufi Jalaladin Rumi: Il silenzio è la lingua di Dio, tutto il resto è mediocre traduzione.
Rumi ha anche detto: Quando finisco una poesia, un grande silenzio mi pervade, e mi chiedo perché io abbia mai pensato di usare il linguaggio.

Forse a questo quisito alquando sconcertato , forse scontato : sappiamo che dal linguaggio , da un concetto, una riflessione , anche da una domanda , il pensiero elabora emozioni, da queste l'ispirazione e si MUTA IN POESIA - DUNQUE A MIO AVVISO , NON E' NULLA MEDIOCRE , ANCHE PERCHE'  COME DETTO NON SI SCARTA NULLA DAL PENSIERO . Giovanni Maffeo - Poetanarratore .




In una lettera a un giovane poeta, di nome Franz Kappus, Rilke ha detto qualcosa di molto simile: Molte esperienze non sono dicibili, accadono in uno spazio in cui mai nessuna parola è penetrata.

Dunque, sin dall’inizio, lo scrittore è preda di una tensione insostenibile: il desiderio di tradurre in parole proprio quel che in parole non può essere tradotto. Che farà dunque? Può scegliere tra il tentare l’impossibile, oppure lasciare perdere e occuparsi d’altro. 

Pochi scrittori si arrenderanno di loro volontà, quindi tentano l’impossibile. Ma, così facendo, si trovano di fronte a un’altra scelta, quella tra l’esplorare appieno la lingua, assaporandone la musicalità, il risonare, le immagini, oppure, all’opposto, l’usarla nel modo più parco possibile, nella convinzione che ci si possa accostare alla realtà solamente impiegando il minore numero di parole, e che siano le più semplici e le più accurate. 

Queste due possibilità usare la ricchezza delle parole, o usarle parcamente  mi ricorda le due diverse vie alla verità della tradizione mistica cristiana. L’una è la Via Affermativa, l’altra la Via Negativa. La prima esalta la vita, è ottimista e celebra l’amore per la creazione, per gli uomini, gli animali, i monti, i fiumi, le foreste ed ogni aspetto della natura. È la via di San Francesco d’Assisi, che ha accolto in sé il mondo esterno, dal prendersi cura dei lebbrosi al predicare agli uccelli.

La Via Negativa, d’altro canto, è il percorso della negazione; si è convinti che la verità, o Dio, non possa essere trovata attraverso il mondo, ma abbandonandolo; un esempio è il mistico tedesco Meister Eckhart, che considerava impossibile parlare della verità ultima, o di Dio. Dunque, Eckhart ricorse a parole negative, come vuoto, vacuità, abisso, deserto, nulla. In altri termini, l’unica verità sulla Verità è che nulla se ne può dire.

Ho spesso la sensazione che nei poeti e negli altri scrittori esista quella stessa tensione tra Via Affermativa e Via Negativa. V’è questa necessità di scrivere della vita, del mondo, dell’amore, della natura e tuttavia, allo stesso tempo, si riconosce che nessuna parola potrà rendere loro giustizia, che forse il silenzio sia l’unica vera risposta.

QUI voglio aggiungere che tutto nasce per passione a cominciare dall'amore per una donna per la natura e ogni altra cosa ,dunque a mio avviso non e' CHE IL SILENZIO SIA L'UNICA RISPOSTA - C'è ben altro :Il poeta ,il suo viaggio è una scala naturale ove lui sale ,progredisce si forma nel tempo ha le migliori poesie , da lì sale fino ad arrivare a una meta evolutiva , dunque non sta in silenzio ha molte cose da dire ,PUO' PARLARE IN SILENZIO QUESTO SI - LE SUE RISPOSTE NON SI FERMANO PERCE' LUI DEVE SALIRE LA SUA SCALA E ARRIVARE FIN DOVE LA SUA META AVRA' UN GIORNO FINE .

Giovanni Maffeo - Poetanarratore .


Come Rumi, spesso sento che la nostra più autentica relazione col mondo è il silenzio e l’osservarlo muti. E questo mi ricorda la circostanza in cui Gautama Buddha, immobile, si trovò a dover predicare davanti a un ampio raduno di discepoli. Mentre questi attendevano che egli pronunciasse le usuali parole di saggezza, Buddha invece, in silenzio, mostrò loro un fiore. Solo uno di loro, e uno solamente, di nome Kashyapa, comprese il suo gesto, e sorrise. Se un poeta volesse mai imitare questo gesto simbolico, questo semplice gesto, il cui significato è che le azioni sono espressione più potente della parola, forse dovrebbe pubblicare un libro dalle pagine completamente vuote.

Un libro vuoto può sembrare una follia, ma non è così inverosimile quanto potrebbe apparire. Perché, in fondo, quale pittore del XIX secolo avrebbe presagito che Kazimir Malevič nel 1915 avrebbe dipinto il Quadrato Nero, un bordo bianco che racchiude un quadrato di puro colore nero? E che dire della grande tela di Robert Rauschenberg, del 1951, il Quadro Bianco, formata da quattro tele bianche assemblate a formare un grande quadrato bianco? In entrambi i casi, il pittore esalta l’universo di ciò che non è, invece del ciò che è, o, se preferite, rappresenta ciò che è in termini di ciò che non è.

E quale musicista, prima della modernità, avrebbe immaginato che il compositore d’avanguardia John Cage avrebbe scritto un pezzo di puro silenzio, che intitolò 4’33”, o Quattro trentatré? Per un ascoltatore generico il pezzo non è che quattro minuti e trentatré secondi di silenzio, ma sorprenderà scoprire che è formato da tre movimenti della durata di 30 secondi, 2 minuti e 23 secondi, e 1 minuto e 40 secondi. 

Le tre divisioni non sono così assurde come appaiono perché, all’interno del silenzio, Cage invita i presenti ad ascoltare i suoni che li circondano: colpi di tosse, bisbigli, il ronzio dell’aria condizionata, le sirene della polizia all’esterno, e divide questo flusso continuo di suoni, che è la musica, in tre unità di tempo. Tuttavia, con Malevič, Rauschenberg e Cage, possiamo scorgere l’impervio percorso della Via Negativa snodarsi fra deserti e lande desolate, fra nebbie e nuvole. Apparentemente è un viaggio mesto, che Plotino descrive come “il volo del solo verso il Solo”.

I poeti, come gli altri scrittori, tendono a compiere il loro viaggio seguendo la Via Affermativa. Tendono ad amare le parole in tutta la loro risplendente plasticità, come quel filone di autori che inizia con Shakespeare, prosegue con i poeti Metafisici, maestri nel gioco di parole, e i sensuali Romantici e culmina forse, dal punto di vista linguistico, con la Finnegans Wake di Joyce.

Joyce, come Lewis Carroll, ha spinto il lessico fino al punto di rottura, lasciando a vocali e consonanti la libertà di una città in cui le parole paiono prendere vita già pienamente mature, alla ricerca di un argomento. La sua è una sorta di Ursprache, metà futurista e metà Neanderthal, il cui significato non è trasmesso dal suono, ma è il suono: “fogabawlers and panhibernskers, after the crack and the lean years, scalpjaggers and houthhunters, like the messicals of the great god, a scarlet trainful”.

Ma la Via Negativa è sempre in agguato, e mi chiedo quanti, fra gli scrittori, siano stati tentati di percorrerla. La sua presenza si manifesta nella propensione per una scrittura asciutta, per la soppressione degli aggettivi. Si manifesta nell’ammirazione per il poeta americano Jack Gilbert, per il quale le similitudini dovrebbero essere sradicate come erbacce. Si manifesta nella predilezione per poeti come William Carlos Williams, che preferiva non usare altre parole se una era sufficiente. E si manifesta nella fascinazione per Samuel Beckett.

Nel 1988, Samuel Beckett, molto malato, scrisse la sua ultima opera, una poesia intitolata Comment dire, tradotto in inglese What is the Word (Qual è la parola). Contiene duecentoventisei  parole, ma sono solo trenta, ripetute seguendo diversi schemi. È. letteralmente, l’ultima parola di Beckett sulla frustrazione della lingua, la ricerca della parola perduta che mai potrà essere trovata. Il  testo ha un aspetto visivo di ampiezza molto ridotta e le ripetizioni danno l’impressione di un balbettio. 


Naturalmente, le due vie, l’Affermativa e la Negativa, non si escludono a vicenda. Possono capitare dei periodi in cui si prova diletto nella fecondità e nella gioia delle parole, e poi dei periodi in cui le si odia, si odia la loro mancanza di precisione, la banalità e stupidità. E questi estremi possono accadere in uno stesso giorno, in una stessa ora, in un minuto. Dunque, il Viaggio del Poeta rivela già due diversi percorsi, che si possono seguire in momenti diversi della vita, o forse in modo simultaneo.

Ed è chiaro che sono diversi i tempi con cui il poeta viaggia tra se col pensiero fa il suo pellegrinaggi con se stesso dentro se stesso , come è chiaro che non tutti i giorni lui abbia ispirazione per scrivere  , ma capitano casi che passano mesi .Tutto ciò non è una scoperta , ma una sostanza , un riverbero ove l'uomo poeta vive di conseguenze e che con esse da la sua prole poetica ove a secondo i tempi e le varie cause elabora la sua lirica .

Giovanni Maffeo - Poetanarratore .

Poesia come pellegrinaggio

Un altro modo di vedere il viaggio nella poesia è di considerarlo un pellegrinaggio, o un percorso sacro, che prevede degli stadi: la Vocazione, o Chiamata; la Dedizione; il Viaggio vero e proprio; la Fine.

La Vocazione poetica.
Gli antichi pensavano che l’ispirazione nel comporre poesia e musica giungesse dalla Musa, oppure bevendo l’acqua della fonte Castalia, presso l’oracolo di Delfi, nelle cui acque gelide si immerse Lord Byron perché l’ispirasse. Credevano cioè che l’ispirazione venisse da una fonte divina, oltre la comprensione umana.

Mi piace l’idea della Musa, perché esprime ciò che penso, che la poesia non sia un atto volontario. Non è un rubinetto che si possa aprire. Non si può dire: “Va bene, giovedì prossimo mi alzo e scrivo una poesia”. È necessario attendere. È come la pésca. Bisogna star fermi e immobili e aspettare che il pesce abbocchi. Non si può lanciare un candelotto di dinamite. Oppure, si può, ma allora non è poesia.

L’ispirazione può giungere come un’improvvisa e lieve tirata di manica, oppure come un fastidio persistente, un prurito che non si placa. E può arrivare sotto forma di potente esperienza che cambia la vita. Si prenda ad esempio la storia di Caedmon, un bracciante inglese del VII secolo, che una sera se ne stava a mangiare la sua cena al monastero in cui lavorava. Quando i monaci cominciarono a cantare e a suonare l’arpa, Caedmon se la filò, perché non sapeva cantare. Andò a dormire nella stalla, dove sognò una figura che gli ordinò di levare un inno alla Creazione.

In principio Caedmon si rifiutò, ma poi, nel sogno, scoprì di essere in grado di cantare l’inno richiesto. Il giorno seguente andò dalla badessa del monastero[1] e le cantò l’inno; la badessa ne rimase talmente stupita, che gli chiese di comporre altri inni di soggetto biblico, cosa che Caedmon fece, e divenne il primo poeta inglese a noi noto. Naturalmente, ora consideriamo la storia di Caedmon un’allegoria o una creazione letteraria, o qualcosa di analogo.

Una vocazione del genere potrebbe verificarsi oggi? Ebbene, è quel che accadde a Ted Hughes che, mentre marciva all’università, arrancando verso la laurea in Letteratura Inglese, ebbe un sogno di grande potenza, in cui una grande figura, parte volpe e parte essere umano, entrò nella stanza e posò una zampa insanguinata sulla pagina bianca di un saggio che Hughes non aveva finito, e disse: “Smettila, ci stai distruggendo”. Hughes lo interpretò come segno che i suoi studi di letteratura inglese stavano distruggendo il suo istinto di scrittore; così cambiò indirizzo e scelse Archeologia e Antropologia, soggetti che nutrirono alcuni dei suoi scritti migliori.

Poi viene la Dedizione.
Solo attraverso la dedizione, la disciplina si può capire se l’eccitazione della vocazione sia riflesso autentico di un serio proposito. È grande la lusinga d’essere un poeta; porta ancora con sé, misteriosamente, prestigio e lustro. A vent’anni Stephen Spender incontrò per la prima volta T.S. Eliot e il poeta gli chiese che cosa avrebbe voluto fare. Inevitabilmente, Spender rispose: “Essere un poeta”. Eliot gli diede un’occhiata gelida e disse: “Capisco che lei voglia scrivere delle poesie, ma non so bene cosa intenda con ‘essere un poeta’.”

Un mio amico poeta dice che i poeti non dovrebbero mai dire: “Sono un poeta”, se si chiede loro che cosa fanno. Crede che sia come dire: “Buongiorno, sono un genio”, oppure, “Ciao, ho un ottimo senso dell’umorismo”. Il fatto è che lo status di poeta te lo assegnano gli altri e non puoi conferirtelo da solo.

E sbagliato , a mio avviso ,se un poeta sa di esserlo, sa fare e scrivere poesia ,deve essere orgoglioso di esserlo DI DIRE - SONO UN POETA - DUNQUE DIVENTA IPOCRESIA NON AMMETTERLO, ANCHE PERCHE' LO STESSO LO PUO' DIMOSTRARE CON LE SUE OPERE , E NON COME QUELLO O QUELLA CHE SI BORIA DEI SUOI SCRITTI COMPOSTI ALLA RINFUSA SENZA RISPETTARE LA METRICA E BUO RITMO, FORMA  POETICA NECESSARIA PER IL DECLAMO DEL CANTO .

Giovanni Maffeo - Poetanarratore .


La dedizione è la prova della vocazione. Il che non significa vendere tutti i propri beni e vivere di scatolette e sherry da quattro soldi. Ma significa prendere la decisione di mettere la poesia al primo posto nella vita. Significa farne la cosa che si fa per prima, oppure la cosa cui si torna dopo un giorno di lavoro che, a giudicare da quello di cui si occupano alcuni miei amici poeti, può significare prendersi cura di pazienti psichiatrici, catalogare libri in biblioteca, mescere pinte in un pub, controllare il livello di cloro in una piscina pubblica.

Dunque, serve disciplina e si debbono fare dei sacrifici, spesso a spesa dei rapporti personali. Mi immagino Ted Hughes nel suo appartamento londinese, che con la mano sinistra stringe la figlioletta Frieda, nata da poco, e con la destra scrive versi e strofe. Ma un esempio del genere è raro. Serve pazienza. Penso ad Oscar Wilde, che disse di aver trascorso un’intera mattina semplicemente inserendo una virgola in una delle sue opere. E che fece l’intero pomeriggio, potreste chiedere? Tolse la virgola! È raro che le poesie si possano cogliere come fichi maturi da un albero di fico. Crescono da un seme, vanno annaffiate, coltivate, protette dai corvi della distrazione e dalle spine dei pensieri negativi, perché possano fiorire.

Talvolta è necessario negoziare per sé stessi tempo, spazio, una camera con vista. Si ha bisogno di solitudine per entrare in quella che è stata definita ‘sacra trance’, una sorta di sogno ad occhi aperti guidato, che Jung ha definito Immaginazione Attiva e che incoraggia idee, immagini e parole a scorrere nella mente, come uno stagno brulicante di pesci, girini e libellule.

Eppure, persino gli scrittori a volte hanno bisogno di compagnia, e per alcuni è cosa particolarmente vera. Famose le parole di John Donne: “Ogni uomo è parte del continente, una parte del tutto”. E Shakespeare potrebbe aver scritto i suoi testi teatrali se fosse vissuto da eremita? Perfino i solitari devono affidarsi ad altri, per gli abiti, per la carità, per i libri, il cibo, ecc. e, a livello esistenziale, è davvero possibile che, chiunque sia dotato di pensiero razionale, possa veramente essere solo? Cogito ergo sum, penso dunque sono, non equivale forse a cogito ergo numquam solus sum, penso dunque non sono mai solo?
Il poeta sarà eternamente afflitto dalla necessità di negoziare fra solitudine e compagnia.


Alla Vocazione e alla Dedizione segue il Viaggio vero e proprio.
È un Viaggio che si svolge su due piani: un viaggio interiore, personale della scrittura, e l’altro, il patto faustiano che il poeta stringe con il mondo della poesia. Questo viaggio esteriore si snoda lungo un paesaggio popolato di editor, editori, mentori, facilitatori di workshop e, ovviamente, dei temuti critici. Come afferma Christopher Hampton, il poeta prova per i critici lo stesso sentimento che un lampione prova per i cani.

Il viaggio esteriore nel Mondo della Poesia è veramente un gioco di ‘scale e serpenti’; le scale delle borse di studio e dei premi, e i serpenti delle lettere di rifiuto e delle recensioni sibilanti. E poi c’è la lotteria dei reading poetici. Ancora devo conoscere un poeta che non abbia sofferto a causa del Reading Poetico. Io stesso mi sveglio ancora, tutto un sudore, al ricordo di un Redding di fronte a trecento fondamentalisti cristiani che, prima che potessi proseguire, presero a battere le mani all’unisono al suono di canti .

Ma, mentre il poeta prosegue il suo viaggio pubblico, anche il suo doppio continua quello interiore. Il viaggio interiore permette di accedere ad un paesaggio dell’immaginazione, che è essenzialmente terra incognita; i confini della coscienza sono circondati da oceani di pensiero profondo e sogni e, sul limitare, insegne recano la scritta ‘Qui sono i draghi’. Qualcosa spinge a penetrare all’interno di questo paesaggio ed è possibile aver la sensazione che alla fine vi sia una mèta, forse il Santo Graal della poesia perfetta; ma, in molti casi, la forza che sospinge in avanti è misteriosa, ambigua e forse meglio sarebbe ignorarla. Una forza che arriva a ondate, repentini desideri e pensieri, momenti di eureka, di chiarezza. 

È la potenza della Musa: io la definisco Alterità, un regno che si trova oltre le nubi della non-consapevolezza, che talvolta, quando la nebbia si dirada per qualche istante,  proietta un bagliore di luce dorata.
Insieme a questo senso di Alterità, esiste un’altra forza nel viaggio, che sostiene e aiuta a proseguire. Si tratta dello zaino, o bagaglio, che ci si porta dietro e che contiene le parti della propria Identità. Ogni poeta, ogni scrittore è diverso. Ogni poeta è, fino a un certo grado, prodotto del suo tempo, del luogo, della famiglia, della tribù, del suo paese, della sua civiltà. Non si può ingannare la propria incarnazione, anche se, a volte, la si può trascendere.
Consideriamo quali esempi di identità, alterità e trascendenza, due diversi poeti.


In altri termini, luoghi ed epoche non precludono l’incontro fra menti poetiche, capaci di varcare secoli ed oceani e montagne per incontrarsi come vecchi amici. L’identità di un poeta può essere spesso l’alterità di un altro poeta. Ma tutti i poeti cominciano con la propria identità, anche se in seguito la rifiutano o la trascurano. Questa iniziale identità è creata dall’epoca, dal luogo, dalla famiglia, dalla cultura. 

Cosa ti rende quel che sei? - IO DEDUCO ANCHE - DIVENTATO - Quali sono le carte che ti sono toccate in sorte in questa vita? Sei figlio unico, o hai dieci fratelli? Sei cresciuto in un paese devastato da lotte settarie? Hai avuto una zia che ti ha insegnato a suonare il violino? Da bambino, avevi l’abitudine di scrutare i monti dalla finestra della cucina?

Ho trovato nei campi le poesie
Le ho soltanto trascritte.

Identità e Alterità

E, mi chiedo se i poeti e gli altri scrittori abbiano bisogno tanto di un forte senso di Identità quanto di un forte senso di Alterità. Identità per tenerli radicati in questo mondo. Alterità che li conduca oltre il piano terrestre, oltre l’immediatezza del tempo e del luogo e dei modelli ricevuti in eredità.

Alcuni scrittori hanno bisogno di un’Alterità vera e propria per sfuggire alla loro Identità. Penso a James Joyce, che si sottrasse alla propria identità oppressiva fuggendo sul continente; a Samuel Beckett, che fece lo stesso per motivi analoghi. Così come, in qualche modo, fecero anche Ezra Pound e T.S. Eliot. Ma l’Alterità non è mero viaggio fisico. 

È il luogo in cui gli scrittori cercano rifugio, perché li trae fuori da sé stessi e nutre il loro spirito e le loro emozioni. È il regno liberatorio del Non-Sé, Non-Famiglia, Non-Tribù. Un regno senza tempo, che accoglie visitatori d’ogni secolo e d’ogni provenienza. Per Ted Hughes fu lo sciamanesimo siberiano e l’alchimia. Per Lord Tennyson fu il mondo, in qualche modo malinconico e sbiadito, del ciclo arturiano. 

Conclusioni

Per concludere: ho accennato brevemente a come i poeti siano divisi fra la volontà di esprimere i sentimenti più profondi e la consapevolezza che le parole non potranno mai renderli appieno. Ho parlato della Via Affermativa e della Via Negativa, del bisogno di solitudine, delle tappe del viaggio poetico la Vocazione, la Dedizione, e il Viaggio vero e proprio e di come i poeti siano sostenuti e allettati da ciò che ho definito Identità e AlteritMa, per quanto riguarda la fine del viaggio poetico, non ne ho esperienza e non posso testimoniarne. Immagino che i poeti preghino di non andarsene prima di aver detto tutto quel che hanno da dire. 

Mai finiremo l’esplorazione
E la fine d’ogni nostro esplorare
Sarà giungere dove iniziammo
E sapere per la prima volta il luogo. 

Presi per mano la mia vita e volli narrare anche in prosa ,cosa per me assurda ,quasi impossibile ,io che anni prima sbagliavo a scrivere ,mi ritengo fortunato dissi tra me e me ,raggiunsi una meta quasi completa perché finchè si è in vita c’è sempre da imparare .Leggo poco ,ancora oggi pochissimo ,non ho pazienza se non mi interessa il testo o romanzo .Mi accorgo che tanti scritti cadono nel banale e hanno poca sostanza .In questo mio romanzo si evince una mia sofferenza vissuta ,allo stesso tempo una lezione di vita guadagnata con la ferocia del sapere subire e rialzarsi il giorno dopo ,il mettersi in gioco per riuscire a soddisfare la mia passione poetica .Sono quasi al termine del mio racconto e non voglio annoiarvi ,voglio continuare il mio viaggio nell’ignoto .

LA MADRE DELL'AMORE .

La incontrai ed era sola
era la madre dell'amore ...
era , il fantasma che da anni non vedevo ,
la cercavo ovunque ed era a me invisibile .

Ne colsi i concetti principali :
che era bello amare ,
era bello il suo mistero ,
era bello scrivergli poesia .

Ella sbocciava raggiante tra i fiori
ovunque mi sfiorava dava il suo eterno ,
di se ,il suo corpo rigoglioso
piatto ricco ove mi affamai .

Lei la donna amara ,la tentazione
col suo carisma mi fece uomo ,
conscio della mia sorte
contai , i minuti della mia dannazione .

Lei , sempre lei un po amazzone e regina
la colsi su di un prato , a primavera ,
fu per me il peccato veniale
l'amante sposa del grande atomo .


Giovanni Maffeo Poetanarratore.

Capitolo ventitreesimo .
Preso da tanta euforia i primi tempi ero talmente entusiasta di scrivere di partecipare a incontri tra poeti al tal punto che non mi accorgevo delle vere persone e di quelle false .Seguì in Roma un raduno tra poeti in cui io partecipai volentieri ,fu per me una grossa scoperta ,come scoprire l’acqua calda .Conobbi donne uomini ,persone diverse l’una dall’altra con diversi caratteri e modi di comportamento .Conobbi i perché , i miseri, i fasulli , le stesse maschere buffe ,i capaci e gli ignoranti ,i tanti . 

Per alcuni di loro era solo gioco ,sfogo e frustrazione .Preso mi allontanai da quel mondo ambiguo ,buffo e triste ,preferii camminare da solo il mio cammino artistico e aprii diversi blog sul web ,ancora oggi attuali e pieni dei miei racconti e poesie .Dopo anni trovai la mia tranquillità  e la mia sicurezza ,aprivo al mondo la mia capacità da poeta e ne fui orgoglioso . Il mio viaggio volge a termine  e sicuramente narrerò altro ove io  sarò protagonista di questa affascinante avventura ,ove il concetto veritiero  dell’esistenza reale  ci rende liberi ,va vissuta a pieno  e si vincono le battaglie in un viaggio per me spero, ancora lungo  da percorrere .
Lascio dunque al lettore la mia arte ,la mia poesia , e ve ne faccio dono .



RIDATEMI  DIO .

Nella pietà dell'anima evoco la vita
con la mia lirica entro nei cuori dei persi …
dei poveri illusi ,i mancati , la fresca sposa ,
do loro la pietà del mio vissuto ,la luce ai morti .
Ridatemi DIO !
Egli  è il mio signore  …
nella giovinezza mi ha dato la saggezza dei vecchi olivi
il faro per brillare  la mia luce ,
nel mio giardino la stagione dei frutti nuovi .
Ridatemelo !
Voi  che del sogno  ne fate incubo …
voi che dell'amore calate pietoso il velo,
l'adulterio mai da frutto ,
ha in bocca i falsi versi l'impuro appetito .
Si  voi ,cani a guinzaglio vapori di fumo
cocciuti commedianti dannati serpenti
inginocchiatevi davanti al sentimento ,
fate lacrimare il cuore le cui fibre sono le vertigini .
Ridatemi Dio IL MIO SOGNO LA MIA PATRIA
il mio padre il mio  beato
l'essenza che medita la sapienza ,la ragione, l'intelligenza ,
egli penetrerà nella mia anima mi aprirà i suoi sentieri
con la forza del vento aprirà le porte alla mia fantasia .
Vieni dunque oh re dei buoni
porta alla mia bocca parole sagge ,
fammi cantare  la tua lode
ove io banditore  del nulla ascolto i tuoi echi .

Giovanni Maffeo .Poetanarratore .